L’aneddoto risale a tre anni fa, forse quattro. Accade in una seconda liceo, una classe che oggi non ho più, una ventina di ragazze e ragazzi di quindici anni che nel frattempo sono cresciuti abbastanza bene, mi pare. Arrivo a scuola, è un giovedì, e mi dicono che le mie due ore di italiano e latino sono saltate, che posso anche andare a fare un giro, perché sono arrivate due psicologhe che proporranno un minicorso di educazione sessuale proprio durante le mie ore. Un «incontro», lo chiamano.
Chiedo come mai io non ne sapessi niente, di quest’incontro. Mi dicono che lo sapevo in realtà, che la cosa era stata programmata per il giorno prima, ma che le psicologhe avevano sbagliato giorno e che tutto sommato era meglio non fare polemica e accettare il cambiamento. Non faccio polemica, quindi. Me ne sto in sala insegnanti a correggere compiti e penso che da un po’ di tempo in qua le discipline vere (quelle su cui si è poi promossi o bocciati) contano sempre meno. Ma non è di questo che volevo parlare.
Perché quando la lezione di educazione sessuale finisce (e non sono passati neanche tre quarti d’ora, in realtà), entro finalmente in classe. Non incontro nemmeno le psicologhe, non so chi siano e chi le abbia mandate. Appena entro, però, subito mi salta all’occhio un grande poster che hanno lasciato appeso sul muro in fondo all’aula. È un poster a fumetti, molto accattivante, una vignetta per ognuno dei trenta giorni del mese, in cui si decantano le virtù meravigliose della pillola anticoncezionale. Mi avvicino al poster per guardarlo un po’, i miei alunni aspettano di vedere cosa dico, ma hanno un’aria un po’ strana.
Due cose mi impressionano subito di quel poster: la prima è l’aria scanzonata e leggera con cui è presentato l’uso della pillola, i disegni di ragazzine in mutande e di ragazzi a torso nudo, senza nessun accenno nemmeno all’unica controindicazione che anch’io so essere certa: combinata con il fumo di sigaretta, la pillola è un veleno, almeno un po’. Visto che sono ancora tanti gli studenti che fumano, mi sarei aspettato almeno una parola su questo fatto, se non altro per farli smettere di fumare. Ma soprattutto mi colpisce un’altra cosa: l’enorme scritta schering che è stampata sotto le vignette. Non so perché ma è una scritta che mi allarma.
Faccio quello che resta della mia lezione di latino. Poi torno a casa, do un’occhiata sul web e scopro quello che già avrei dovuto sapere: che la Schering è una casa farmaceutica, che è anche leader mondiale nella produzione di pillole anticoncezionali, che sta lanciando proprio in quei mesi una nuova pillola, la «Yasmin», definita miracolosa e completamente priva di controindicazioni. Il fatto che la Schering si faccia un po’ di pubblicità usando l’esca dei fumetti non mi sembra grave; che la faccia dentro la scuola pubblica mi pare già più grave; che due psicologhe entrino in una classe di quindicenni e appendano il poster gigante di tale pubblicità facendolo passare per «educazione» mi sembra invece parecchio più grave. E che nessuno dica niente.
Così il giorno dopo, appena entro, vado in fondo all’aula, stacco il poster, lo piego sotto gli occhi stupiti dei miei alunni, e lo butto nel cestino della spazzatura. Loro ovviamente mi chiedono perché; io glielo spiego, e gli spiego cos’è la Schering. Poi, chiedo anche che cosa hanno detto le due psicologhe. Naturalmente nessuno parla, tutti sono imbarazzati; quando finalmente qualcuno trova il coraggio di farlo, viene fuori che si è discusso soltanto di pillola, ben poco di preservativi, per niente di sessualità. Che si è detto che non è vero che la pillola fa ingrassare e che anzi fa sparire pure i brufoli. Che non è nemmeno stato risposto a un ragazzo che poneva (ridendo, perché è un ragazzo) una questione sulla masturbazione. Mi arrabbio…
(Però mi fermo, e l’arrabbiatura non ve la racconto, che tanto ve la immaginate lo stesso. Mi fermo e, a scanso di equivoci, dico subito un’altra cosa: non sono religioso, non ho remore matrimoniali o prematrimoniali, non credo alla verginità di chicchessia come a un valore. E un’altra cosa ancora: quando ho letto le affermazioni di papa Benedetto XVI sull’uso dei preservativi in Africa, ho pensato immediatamente che i preservativi devono essere una soluzione del problema Aids, sì. Non l’unica, non la panacea definitiva, ma in questo momento una possibile soluzione senz’altro. E ho anche pensato che tutte le nazioni europee che hanno polemizzato con il papa, Francia e Germania in testa, potrebbero, invece di polemizzare, finanziare una distribuzione e un’educazione capillare all’uso dei preservativi in Africa. E già avremmo qualche problema in meno, secondo me. E ancora un’ultimissima precisazione: io sarei anche a favore dell’introduzione della pillola abortiva, per intenderci. Non credo al dolore come forma di educazione; anzi credo molto di più che il piacere sia educativo, anche quello fisico, quello del corpo, come diceva Epicuro. Era per capirci)
Dunque mi arrabbio. Poi, la sera, racconto a un amico quello che è successo. Lui pare darmi completamente ragione, poi a un certo punto dice che comunque lui continua a non capire perché nelle scuole italiane non si faccia mensilmente una bella distribuzione di preservativi gratis. Che sarebbe un bene per tutti e sarebbe anche una forma di responsabilizzazione. Ne parliamo un po’, volano le solite squallide battute da maschi italiani quando parlano di sesso (che tristezza, tali siamo), poi torniamo a casa, ognuno alla sua.
E io, da quella sera, ci penso spesso, sia alla Schering sia alla distribuzione dei preservativi in classe agli studenti. E mi dispiace un po’ per il mio amico, ma continuo a pensare che no, che non è proprio il caso, assolutamente no. Che sarebbe esattamente come il poster sponsorizzato sulla pillola anticoncezionale. Che mi toccherebbe anche di requisire i preservativi alla fine. E non saprei assolutamente che cosa farmene, dopo (si scherza, su, abbiate un po’ di sense of humour…).
Io non ne so molto sulla sessualità dei miei studenti, lo ammetto. Ma ne so qualcosa della mia, ovviamente (non così ovviamente, in verità: sapere qualcosa della propria sessualità è una conquista, in fin dei conti); la quale mia sessualità è stata abbastanza articolata da potermi far dire che non tutto è così semplice come le psicologhe targate Schering volevano far credere ai miei alunni (e questo mi ha messo anche dei dubbi sulla vita sessuale delle due psicologhe, tra l’altro). Senza alcun moralismo, a me pare che la sessualità sia uno di quegli elementi della vita che più direttamente ed esplicitamente concorrono alla possibilità di essere felici; e quindi che sia una faccenda assai delicata. Molto più delicata di quanto il semplice uso di un anticoncezionale possa far capire, maledette psicologhe.
Non sono così convinto che il sesso protetto sia quello fatto con il preservativo o con la pillola, e chiuso così. Certo, quella protezione è necessaria, in tanti casi. Ma non si può puntare tutto su quello, come se si trattasse di semplice profilassi e di nient’altro. Che ci sono altre forme di protezione che è bene attuare, meno profilattiche ma non meno importanti; che bisogna proteggere se stessi, e anche molto, dal rischio di non comprendersi e di non comprendere il proprio corpo, le sue esigenze, la sua soddisfazione piena. E lo sostengo con l’etica pragmatica di un epicureo, che è l’unica in cui ancora riesco a riconoscermi, e che è l’etica del piacere.
Alle psicologhe, quindi, avrei voluto dire che il corpo è una faccenda troppo importante per trattarlo semplicemente come un oggetto medico. Che al corpo noi dobbiamo gran parte del piacere che proviamo nella vita e che questo piacere è molto spesso sinonimo di felicità. E che non si può relegare la felicità a un ruolo ancillare della profilassi. E che tutta questa retorica della liberazione sessuale, trattata così, mi pare tutto meno che una liberazione, onestamente: mi pare prigionia, oppressione, obbligatorietà, svilimento. Mi pare sinonimo di «trombare si deve», e se non trombi sei sfigato.
L’altro giorno, per esempio, leggevo alcuni articoli sul non-sturpo di capodanno e mi venivano i brividi a pensare all’uso che si può fare di se stessi e degli altri; e soprattutto a pensare che questo uso e consumo porta diritti verso un genere di non consapevolezza che a me pare vicinissimo all’essere persone completamente infelici. Il sesso è una cosa meravigliosa, credo che lo possiamo dire tutti o quasi (tutti tranne qualche cardinale, insomma; e la moglie del presidente del consiglio, credo, ma non ho le prove). Ma proprio perché è meraviglioso, io faccio fatica a considerarlo un semplice strumento, un uso del proprio corpo come se fosse uno spremiagrumi o un pelapatate. E cointinuo a pensare che invece debba essere qualcosa di più. Credo che sia come una strada, tortuosa e complessa, e che come tale vada percorsa. Non un’autostrada con qualche autogrill con i distributori automatici e due risate in compagnia e un po’ di viagra che non si sa mai e alla fine niente.
Ecco, a me pare che una delle forme più acute di corruzione consumistica del mondo si stia perpetrando proprio ai danni della sessualità: facendola diventare, sotto la formula pretestuosa dell’essere liberi, una forma di consumo come le altre, come uscire a mangiare qualcosa o a comprarsi un paio di scarpe, come l’ubriacarsi o l’acquistare il nuovo gioco per la playstation. Come se la logica dello shopping ottimista dovesse per forza invadere anche questo aspetto della vita, che invece dovrebbe essere gratuito per definizione. C’entra in parte la diffusione accelerata della pornografia, ma non è quella la causa; anzi forse è anch’essa un altro semplice effetto di una causa più profonda, che ha a che fare con la logica elementare dell’usa e getta, dell’utilizzo dissennato di sé e degli altri. Non una liberazione, ma un’altra silenziosa forma di asservimento, una tra le più terribili.
Sono cose che mi pare di vedere in giro, queste. Le leggo poi in alcuni romanzi, come quelli di Houellebecq. Le percepisco in alcuni fatti di cronaca che mi danno le vertigini, le sento e le vedo costantemente in televisione. Perché mi pare che sia una corsa all’abuso di sé che non tiene conto delle pesanti implicazioni che questo abuso potrà avere sulla nostra felicità futura. E mi piacerebbe che, un giorno, venisse in classe qualcuno più bravo e preparato di me a dire ai ragazzi che il sesso è una cosa bellissima ma che, proprio in quanto tale, va trattato con delicatezza, come si trattano le cose preziose, come va trattato il corpo di ognuno di noi, che è quanto di più bello ci sia stato dato. Che dicesse la bellezza del corpo e dei corpi, che parlasse di sessualità come una “forma di incontro”, a volte anche occasionale, ma pur sempre irripetibile, e quindi non legata al semplice possesso o all’ancora più semplice consumo.
Forse è che sto diventando vecchio, non so. O forse è il culto della bellezza che mi ha fregato, dal primo giorno in cui ho cominciato ad avere fiducia nella letteratura e nei poeti, maledetto me. È possibile, non lo nego. Non nego nemmeno che sia un discorso sempre approssimativo quello che faccio, perché non vivo dentro il corpo degli altri e non so come ci si senta lì dentro. Però, scusatemi se non mi arrendo, mi pare che in troppi casi questo uso e consumo di sé porti le persone dritte dritte verso una forma evidente di non consapevolezza, di infelicità. (Sì, è di felicità che sto parlando.)
E mi sembra che la profilassi dovrebbe riguardare anche questo aspetto della vita dei ragazzi. Mi pare che se uno di loro deve uscire di casa, andare in farmacia, diventare un po’ rosso e imbarazzato per comprare una confezione di presevativi, questo non gli possa fare tanto male. Che sia un modo come un altro per prendere coscienza, per pensare, per rendersi conto che è un gesto importante quello che sta compiendo, perché ha a che fare con il corpo, che è la più importante delle cose che lui ha, che tutti abbiamo; soprattutto, e ancora di più, se non si crede nell’esistenza dell’anima, come non ci credo io. Quello mi resta (il corpo) e quello voglio trattare bene; e anche quello degli altri, ovviamente. Perché da quello, dal corpo, dipende tanta della mia felicità, ho l’impressione.
(Ho finito, ci mancherebbe altro, che già mi sono ripetuto abbastanza. Ma immagino che qualcuno dei più resistenti allo sproloquio ancora si chieda cosa io abbia detto quel giorno, quando mi sono arrabbiato in quella seconda, dopo aver strappato dal muro il poster della Schering. Ho detto parolacce, lo confesso. Scusatemi, lo so che non si fa, in classe, ma quel giorno l’ho fatto, non sono riuscito a trattenermi. Ho detto ai miei alunni di quindici anni che il sesso non è tutto lì, una questione di pillole o di non pillole. Ho detto che anche masturbarsi è sesso, a ben vedere. Che anche baciarsi e desiderarsi è sesso. Che il desiderio e il corpo sono cose meravigliose, che ne avessero cura, del proprio desiderio e del proprio corpo. Gli ho anche detto, che vergogna, che le due psicologhe avevano senz’altro una vita sessuale tristissima, che i loro mariti non avevano più nemmeno quella, probabilmente. Poi ho aggiunto: «Scopare non è mica obbligatorio, va’». Magari non ci crederete, ma ho visto un sacco di faccine sollevate in quel momento.)
Non sei vecchio se pensi queste cose. Sono assolutamente d’accordo con te su tutto. Ho 27 anni e da quando ne avevo 6 mi hanno bersagliato (in ordine temporale) di: libretti colorati, corsi a scuola, incontri con lo psicologo, trasmissioni televisive, incontri col ginecologo, altri libri, articoli di riviste, Undressed e Loveline… tutti i “grandi” sembravano ossessionati dall’idea di informarci il prima possibile e il più dettagliatamente possibile sul sesso… non avevo ancora vissuto il primo bacio e già sapevo tutto sull’impotenza, per dirti… E tutte queste informazioni (necessarie ma non sufficienti) mi hanno creato non pochi problemi quando è arrivato il momento della sessualità “attiva”… e l’unico modo per risolvere il problema è stato RIMUOVERE tutte le nozioni sul sesso di cui mi avevano cibato fin da piccolo! E ascoltare SOLTANTO la voce del cuore e del corpo… basta poco in fondo… credo tu abbia dato un’ottima lezione ai tuoi alunni strappando quel poster.
Eh già, Loveline, non me la ricordavo più… Con quello sessuologo un po’ alla moda, giovane e brillante… Sì, io ero già grande ma ricordo che il sesso trattato in quel modo mi lasciava stupito; sembrava più che altro un traffico di organi…
anche io ho 27 anni e sono perfettamente d’accordo (però per me neanche un briciolo di educazione sessuale a scuola, qualcosina non mi sarebbe dispiaciuto sentirmi dire).
Certo, un po’ di educazione sessuale (fatta bene, con garbo e leggerezza, con precisione scientifica ma anche con due risate, che non fanno mica male) è una cosa meravigliosa e soprattutto utile. E’ che spesso si finisce a parlare solo di profilassi, che non è forse l’argomento che lascia più dubbi nei ragazzi. O almeno io, che di anni ne vorrei tanto avere 27, quand’ero ragazzo avevo tutt’altri dubbi e incertezze.
Io faccio solo una piccola puntualizzazione sulla combinazione pillola-fumo: aumenta il rischio di trombosi in maniera rilevante dopo la trentina.
Per il resto sono d’accordo.
ti devo davvero ringraziare. queste sono le cose che mi fanno credere nel destino. sono tornata a casa stasera dopo una festa di laurea, alla fermata dell’autobus incontro uno che mi dice: dai, socializziamo un po’. mi è sembrato un modo simpatico di approcciare (anche perchè ho ancora la convinzione che a volte ai maschi importi sul serio di socializzare e basta) e quindi mi sono messa a chiacchierare. dopo un po’ ha iniziato a provarci, non era brutto nè niente ma… non ne avevo voglia. gliel’ho detto e lui è rimasto scioccato. non ne hai voglia? come no? perchè? hai avuto dei traumi? sei lesbica? alla fine se n’è andato dandomi della stronza. sono tornata a casa con un sacco di tristezza, sentendomi anormale e facendomi delle paranoie sulla mia vita sessuale. e poi per caso, andando di blog in blog trovo questo post… e mi sento un po’ più tranquilla : ) grazie, penso che tu abbia fatto una gran cosa a dirlo anche ai tuoi studenti
Ricordo una riflessione che facesti tempo fa, quando in caso volle che ci si frequentasse, di tanto in tanto.
Il passaggio, nel linguaggio comune, dall’espressione “fare l’amore” al “consumare un rapporto” esemplificava plasticamente l’ultima conquista del consumismo: l’amore.
Quanto a ciò che resta implicito, e cioè la perdita dell’essenza legata all’amore, a fare l’amore, mi piacerebbe citare Sciascia, il quale metteva in bocca ad un suo personaggio un’amara considerazione: l’uomo del secolo scorso, correndo verso il miraggio dell’amore libero, ha in realtà perso la cosa più preziosa nel rapporto con la donna: il mistero. Dicevo mi piacerebbe, che la memoria è una qualità che non mi appartiene: e mi scuso se il richiamo è impreciso