Reduce da due interminabili pomeriggi di colloqui con le famiglie, di silenzi e di piccole polemiche sottotraccia, di parole pronunciate con cautela, reduce da tutto questo, che cosa ti resta, questa mattina?
Ti restano gli sguardi preoccupati delle madri e dei padri dei ragazzi di quinta: preoccupati per il futuro, per le scelte universitarie, per il lavoro che avranno o non avranno i loro ragazzi, la paura che sbaglino davanti a un bivio che in questo momento sembra così fondamentale, in un mondo la cui direzione sembra adesso indecifrabile. Ti resta l’ansia delle madri e dei padri dei ragazzini di prima, gli occhi lucidi di quelli a cui fai i complimenti, per come sono educati, per come sanno stare in mezzo agli altri; oppure gli sguardi angosciati di quelli a cui dici che i loro figli sono molto, troppo in difficoltà, che forse non ce la faranno, che forse questa scuola non è la scuola che fa per loro, che il rischio è di farli soffrire per cinque o sei o sette anni, senza ottenere niente che non sia sofferenza. Ti restano i loro tentativi di spiegarti, di difendere i figli senza darti a vedere che li difendono, di trovare una via di uscita a cui nemmeno loro riescono a credere; ti resta anche la rabbia di qualcuno che non capisce perché lui, il mio ragazzo, si comporti così, che non vuole accettarlo, che si sente tradito da una creatura che ha messo al mondo e che ora così visibilmente si ribella, si allontana, comincia così presto a prendere le sue distanze. Ti restano poi i sorrisi appena abbozzati di alcuni padri, a cui racconti qualcosa di quello che vedi a scuola dei loro figli, e che loro non sanno; ti resta quella sensazione di impotenza di alcuni di loro, il figlio che torna a casa e non parla, non racconta mai niente, come se io e sua madre non esistessimo, si chiude in camera, sempre attaccato al computer, non sappiamo più nemmeno chi è, ti dice qualcuno, non lo sappiamo più.
E ti resta anche il pianto di una madre, lì seduta davanti a te, la sua visibile fatica, il suo provare ostinato a resistere ai colpi della vita senza neanche più la speranza di riuscirci; mentre ascolta che suo figlio ha preso un 6, finalmente, l’altro ieri. E le sensazioni di alcune coppie sull’orlo del precipizio, che si attaccano alla preoccupazione per i loro bambini, come unica strada che ancora riescono ad avere in comune. Ti restano le parole dei padri che non capiscono il mondo dei ragazzi, che ti chiedono come sia possibile che, se sia giusto che loro, in qualità di genitori, accettino di.Tu non hai risposte. Li guardi, suggerisci quel poco che vedi in qualche ora mattutina in cui fai il tuo lavoro con i loro figli e cerchi di non essere un uomo troppo distante da quel mondo di ragazzi. Non puoi avere risposte, anche se madri e padri vorrebbero spesso che tu le avessi.
E ti resta, più di tutto, la sensazione di amore immenso, di amore incommensurabile che tutte queste madri e questi padri riversano su questi ragazzi, la sicurezza che farebbero qualunque cosa pur di vederli felici, sempre, oggi, domani e dopodomani. E insieme a questo amore fortissimo, ti resta infine la certezza che i ragazzi non lo sanno, non lo pesano questo amore, lo danno per scontato, come è giusto che sia, come è normale che sia, come hai fatto tu con l’amore dei tuoi genitori. Non ci badano mai, i ragazzi, a questo incredibile amore, ciechi come sono, come eri cieco anche tu a diciott’anni.
Ma tu, ora, sai che proprio questo amore sarà domani e dopodomani la loro forza, quella che avranno nei momenti più difficili; e vorresti dirlo ai genitori, che si lavora tutti per il futuro remoto, il quale non si vede e non esiste, il quale non è nemmeno un tempo verbale, ma che è l’unico possibile tempo dell’amore. Un giorno i ragazzi capiranno; un giorno saranno qui al vostro posto, a parlare dei loro figli con qualche insegnante; e avranno da voi imparato ad amarli, imparato l’amore; non ci sono ricompense, per questo amore immenso, ma c’è la certezza, vorresti dirglielo, che non tutto, di questa fatica, è destinato a venire sprecato.
Sai, leggo sempre questo blog, da quando l’ho scoperto, e ci trovo sempre quelle cose che i miei insegnanti non riuscivano/sapevano/potevano/volevano dire, a me o ai miei genitori, quando ero al liceo. E che sono vere.
Mi sono commossa.
Grazie.
Troppo buona. Si prova a resistere, in realtà, non molto di più; e lo si fa con il contributo di alcuni “luoghi paralleli”, che contano.
E’ vero, è così, ci sto passando col biondino tredicenne e si passa dai momenti, che mi sembrano tanto brevi, in cui sentiamo di appartenerci, a quelli in cui pare che il suo unico obiettivo sia quello di ferirmi, più profondamente che può.
Quando ti fanno male li ami ugualmente, li ami di più.