«Saper parlare al popolo» è un po’ come «Saper stare sul territorio»: è diventata l’espressione che assomma indistintamente in sé le incapacità della sinistra in Italia e le capacità del berlusconismo (e di Berlusconi, in particolare). Tanto che a parlarne, ormai, non si può più sbagliare: e si mettono tutti d’accordo. Oggi ne scrive sulla Stampa Massimo Gramellini (e gli fa eco Giuseppe Civati sul suo blog, con più precisione però), a proposito di Gino Flaminio, lo sgrammaticato ex fidanzato di Noemi Letizia, che nella sua lettera parla del premier come di un «Uomo del Popolo». E così conclude Gramellini:
Ora, se il popolo considera Uomo del Popolo un miliardario che vive fra villoni e guardie del corpo, significa che la parte politica che un tempo si richiamava al popolo ha smesso di fare il suo mestiere: parlare a Gino in modo diverso, ma di cose che interessino a Gino, anche se le cose che interessano a Gino ai leader di sinistra spesso fanno senso.
Nessuno dei due, però, mi dice quali sono le cose che interessano davvero a Gino e di cui Berlusconi parla e che alla sinistra invece fanno senso. Le toghe rosse? Il Milan? La sicurezza? La premier finlandese e i successi internazionali del governo di destra? Il conflitto russo-georgiano?
O piuttosto sono i modi a fare la differenza? Vale a dire i modi in cui si presenta il leader del PdL, quel suo essere un uomo di successo, il suo ottimismo becero e mercantile, la sua plastica facciale e le serenate in riva al mare, quel suo atteggiarsi a leader incontrastato, al di sopra delle leggi, che fa passare il rispetto delle leggi e delle norme più scontate come una faccenda assai secondaria all’interno del vivere civile e sociale?
Secondo me sono i modi, non le cose. Che al Gino del Popolo le cose non interessano affatto, temo. E forse non gli interessa nemmeno arrivare a comprenderle. Mentre i modi, quelli contano eccome: e sono il perfetto ritratto di un popolo che, per la maggior parte, si riconosce non nelle virtù ma nei vizi del suo Capo; tanto che il Capo ha buon gioco a esibire i suoi numerosi vizi, sempre più spesso, e soltanto di rado le sue virtù.
È paradossalmente inutile, quindi, che Gramellini scriva che la sinistra dovrebbe parlare di cose che interessano a Gino in modi diversi. Perché sono proprio i modi a interessare a Gino; e se cambi i modi nessuno ti ascolta più. E il solo modo diverso che si potrebbe oggi adottare, per parlare al popolo, sarebbe quello di diventare come lui. Come Gino. O come Berlusconi.
Che infatti si assomigliano tanto; talmente tanto che forse hanno avuto la stessa fidanzata.
x scorfano.
E’ una domada importante quella che ti poni e la risposta è abbastanza convincente.
Bisognerebbe però stabilire PERCHE’ sono i MODI ad interessare Gino e soprattutto approfondire la tua affermazione : “secondo me sono i modi, non le cose. Che al Gino del Popolo le cose non interessano affatto, temo. E forse non gli interessa nemmeno arrivare a comprenderle. Mentre i modi, quelli contano eccome: e sono il perfetto ritratto di un popolo che, per la maggior parte, si riconosce non nelle virtù ma nei vizi del suo Capo; tanto che il Capo ha buon gioco a esibire i suoi numerosi vizi, sempre più spesso, e soltanto di rado le sue virtù.”.
In sostanza: come si è potuta creare una situazione tale che le modalità con le quali si manifestano gli attributi (pensiero ed estensione) di una sostanza (scusami se ritorno alla filologia spinoziana) diventano esse stesse sostanza?
Qui vedo il dramma della sinistra che, secondo me, ha mancato un appuntamento fondamentale: quello cioè che, quanto meno a partire da Machiavelli, passando per Spinoza, Bruno, il Marx del terzo libro de il Capitale, Labriola e Gramsci) può essere definito come storicismo non deterministico, in breve materialismo storico nella sua vera accezione.
Il “farsi” della Storia è il farsi della storia nelle sue componenti. Essa procede, ontologiocamente, “comunque ed in ogni caso”.
Il suo “farsi” deriva da un “conatus” (potenza di produzione ed autoproduzione) in cui solo le modalità hanno modo di poter essere con/dizionate dal “conatus” individuale e collettivo delle persone. Questa possibilità è inscritta nell’ordine delle contraddizioni che possono esistere tra la “necessità” di produzione ed autoproduzione e le condizioni materiali che a ciò possono o vogliono opporsi.
In breve, la sinistra ha mancato a quell’appuntamento di cui dicevo [la Storia, nel suo “farsi” ha modificato il rapporto tra la quantità (e quindi la qualità) delle “forze” in campo (forze produttive) e le modalità (mezzi di produzione —->scienza e tecnologie)]. Quindi, più esattamente, attestandosi (adagiandosi) su dati non più esistenti (forze produttive-mezzi di produzione ottocenteschi), ha permesso il rinnovarsi delle paure e superstizioni tipiche del fondarsi, ad esempio, delle religioni, che oggi assumono la veste, appunto, di paure e superstizioni “laiche”.
E’ accaduto qualcosa di grave: il pessimismo della ragione sembra non più esserci, in quanto la ragione viene sostituita dalla paura, e l’ottimismo della volontà viene a mancare in quanto, conseguentemente, la paura è tale che impedisce di capire e anche a volte di percepire come “riappropriarsi” dei “nuovi mezzi di produzione”, ben controllati dagli attributi pensiero/estensione della “sostanza” del “modo capitalistico di produzione”.Non si riesce a determinare infine chi, cosa e con che mezzi, qui ed ora, si produce.
Berlusconi queste cose le sa, quantomeno le intuisce e le intepreta bene, cioè al fine del proprio “bene privato”, del “bene comune” può fottersene in quanto sa che c’è confusione (derivata appunto dal rinnovarsi delle paure e superstizioni di cui parlavo) nella definizione del bene comune stesso.
Prendi questo intervento per quello che è: un esercizio di riflessione per una mia personale necessità/bisogno di capirci di più su quel che sta accadendo.
Grazie del tuo intervento e del tuo esercizio di riflessione. Ti dirò: posta in questo modo diventa una questione molto più grande e complessa di quella che intendevo porre io. Ma sono d’accordo su molte delle cose che scrivi: per esempio, sull’adagiarsi della cultura di sinistra su dati non più esistenti (non nel sistema produttivo e di consumo attuale); sul rinnovarsi di paure e superstizioni laiche; sul fatto che Berlusconi interpreti (non che lo comprenda, però) perfettamente uno spirito dei tempi assai marcato.
E’ la cultura occidentale, questa; ed è quella a cui ora come ora apparteniamo. Di più: sono proprio i nostri “valori”; si ammantano di altro, ma sono sostanzialmente quelli espressi dalla cultura pop. Che Berlusconi incarna quasi fisicamente, con il corpo e con le passioni senili del suo corpo.
[…] del Popolo mentre la sinistra è snob e lontana dalla gente e blablabla, la penso anch’io così. (Tenendo anche in conto la conoscenza di ammirati estimatori del […]
[…] la sinistra ad avere un problema, o il popolo? Lo scorfano è di un’altra idea: Secondo me sono i modi, non le cose. Che al Gino del Popolo le cose non […]
Io ti ringrazio per questa tua sfida alla paura di apparire snob. Per questo dire forte e chiaro che non è abbassando il livello che si può puntare a vincere. La sinistra sarà pure quella che sarà, ma i tempi e le persone che li popolano, a loro volta, sono quelli che sono. Ci sono state trasformazioni su cui non mi attardo perché si arrivasse a questo punto; ci ho provato diverso tempo fa dalle mie parti, non so neanche con quale risultato. Per ora mi basta la foto della situazione: la sinistra, appunto, sarà quella che sarà, ma i tempi e la gente non sono migliori. Tanto che, come scrive Gramellini, un operaio a mille euro al mese, considera uomo del popolo un miliardario che vive tra body guard, villoni, feste con vergini che si offrono al drago ed elicotteri e aerei privati. Sì, c’è qualcosa che non va, ma per favore non diamo tutta la colpa alla sinistra che non c’è.
No, infatti. Io non credo nell’abbassamento del livello. E non credo nel diventare un po’ come loro. O meglio, nelle polemiche sì, sarà necessario farlo, sporcarsi le mani. Ma sul piano culturale (anch’io l’ho già detto tanto tempo fa) è assolutamente necessario farne a meno, secondo me. E non mi interessa il venire tacciato di snobismo: perché qui si sta difendendo qualcosa di assai importante, mi pare.
Dal fondo del baratro culturale: per parlare al popolo, basta muggire. O belare.
Non è (solo) una frase ad effetto. Il popolo cerca modelli a cui ispirarsi che parlino la lingua che possa capire. Berlusconi parla una lingua facilmente comprensibile a tutti. Quella del successo, del self made man, di valori s(t)olidi, scatole vuote di retorica in cui, ben condito, si può infilare quel che si vuole. Berlusconi dice cha va tutto bene. Sempre. Sorride. Inesorabilmente. Provate a dare una brutta notizia col sorriso sulle labbra: ci sarà qualcuno che la intenderà positivamente. Berlusconi ha un programma: difendere gli interessi suoi e di quelli come lui, non di quelli come Flaminio. Facendo in modo che il popolo si identifichi con lui, rassicurando la gente, canticchiando (canta che ti passa) fa credere alla gente che la via in cui crede sia la via giusta. Il tempo di uno slogan, una frase fatta, uno spot elettorale. Io la vedo così: da che mondo è mondo, il popolo è sempre stato bestia da manovrare. Preda di pulsioni diverse, il popolo, a differenza dell’oligarchia governante, ha il problema della propria sussistenza (e di quella della stessa oligarchia dominante, in parte), non può preoccuparsi della direzione politica da prendere. E delega la decisione al leader che meglio lo rappresenta o lo capisce. In questi tempi di crisi delle maggiori ideologie (non solo la sinistra post-marxista, anche il capitalismo e il liberalismo non se la passano benissimo), il leader ideale è quello che fa pensare il popolo alla politica il meno possibile. In Italia, Berlusconi ha tv, giornali, e case editrici. Che parlano di lui, non della crisi, economica o ideologica.
Ecco, l’hai detto. Trovo sempre qualcuno più cattivo di me. 😉
E allora, se è vero come è vero che siamo diversi e migliori, si potrebbe fare un po’ di servizio, scorfano, rendendoci conto con umiltà che noi abbiamo qualcosa da insegnare, invece di chiederci perchè la gggente non ci capisce.
Lo zio di spiderman diceva che da un grande potere derivano grandi responsabilità. Penso che non sia proprio sbagliato, no?
Guarda: intanto usi il verbo insegnare che è esattamente quello che io faccio, e quindi mi sento già un po’ nella posizione di chi ci prova (ripeto: ci prova, non che ci riesco). Poi, per restare nel campo dei supereroi, io non ho mica tutto questo potere, no? E neanche i superpoteri. Faccio quel che posso, di nuovo. Ci provo, a scuola, qui, in altri contesti.
Sarei disposto anche a un faccia a faccia con il Capo, se lui volesse: ma non ho diciottanni e nemmeno le tette, avvertitelo prima… 😉
si ovviamente non parlavo di te, ma più in generale – poi, sono anche figlio di professoressa, e più arrabbiata di te, puoi immaginare. e in effetti dicendo “noi” non ho bene idea di quale sia il reale soggetto della frase.
Be’, figlio di professoressa arrabbiata, non ti invidio… 😉
“Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te.” (F. Nietzsche)
Sarebbe un orrore/errore adottare gli stessi modi. (Che la sinistra sia snob, tra l’altro, è uno stereotipo duro a morire quasi quanto quello degli italiani pasta-pizza-mandolino).
Mi riallaccio a Tc e dico: bisogna far comprendere alla gente che i modi della politica non devono e non posso essere quelli del bar Sport. Come? Beh, partendo forse dalle basi, proprio dalle scuole.
Ormai, alla scuola si chiede tutt’altro. Non insisto, perché è praticamente il post che ho appena scritto oggi. Ma è facile rendersi conto che la scuola è in pessime acque. E che il popolo è uscito tutto dalla scuola, anche.
Non riesco a spiegare sinteticamente ciò che intendo ed intendevo dire . Non sono d’accordo con Ipazia ed il perchè lo dico con parole non mie.
‘…Ma se la realtà storico-sociale si dà da sé medesima le sue leggi, allora chi teorizza regole del gioco arbitrariamente e volontariamente stabilite che dovrebbero essere in grado di orientare e di determinare lo sviluppo del blocco storico, proietta sulle cose e sui loro rapporti deliri antropomorfici:’
“Come domandare che le forze in lotta [i mezzi necessari e causali] ‘moderino’ la lotta entro certi limiti (i limiti della conservazione dello Stato liberale) senza cadere in arbitrio o nel disegno preconcetto? Nella lotta ‘i colpi non si danno a patti’ e ogni antitesi deve necessariamente porsi come radicale antagonista della tesi, fino a proporsi di distruggerla [Spinoza dice: ‘destruere’] completamente e completamente sostituirla. Concepire lo svolgimento storico come un gioco sportivo, col suo arbitro e le sue norme prestabilite da rispettare lealmente, è una forma di storia a disegno, in cui l’ideologia non si fonda sul ‘contenuto’ politico [l’espansione delle forze sociali mentali e coporee] ma sulla forma e sul metodo della lotta. E’ un’ideologia che tende a snervare l’antitesi, a spezzettarla in una lunga serie di momenti, cioè a ridurre la dialettica a processo di evoluzione riformistica ‘rivoluzione-restaurazione’, in cui solo il secondo termine è valido, poiché si tratta di rabberciare continuamente dall’esterno un organismo che non possiede interamente la propria ragion di salute” (Gramsci, quaderni, pag. 265). Spinoza dice:”Nulla res, nisi a causa exsterna, potest destrui” (Etica, III 4), opponendo anch’egli la liberazione della forze produttive (i ‘conatus’) alla loro regolazione-repressione’. Bordoli – Vitae Meditatio, Gramsci e Spinoza a confronto. ed. Quattroventi.
Bene, non si può fare diversamente? Le armi della rivoluzione non sono più i fucili? Sono giornali e televisioni? Attrezziamoci per avere tali armi, A TUTTI I COSTI. Non mi va di piangere sulla “forza” dell’avversario, non è un gioco “sportivo” quello che si sta giocando.
Vincenzo
Ps. Scusate la prolissità