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di cosa parliamo quando parliamo di temi d’esame

28/06/2009 di lo scorfano

connessi e sconnessiHa fatto un bello e lungo e applaudito giro del web una delle tracce assegnate alla prima prova dell’Esame di Stato, ed ha anche provocato un notevole entusiasmo. Ed era normale, visto che parlava proprio di social network e new media, cioè del web stesso, i cui protagonisti si sono in parte sentiti chiamati in causa.

Ora, però, a mente fredda, vale la pena di fare un paio di considerazioni, su questa traccia. Innanzitutto, la formulazione che ho letto su parecchi siti informativi (tra cui questo e questo) e su ancora più numerosi blog è una formulazione che non è mai arrivata a nessuno studente di nessuna commissione italiana. Ed è bene prenderne atto. Era infatti soltanto una versione per la stampa, che non sono riuscito a capire da dove salti fuori e che suonava così:       

Alla luce della recente evoluzione dei social network a livello mondiale, ripercorrere l’evoluzione sociologica dei sistemi di comunicazione di massa. Porre l’accento sul cambiamento formale e sostanziale nei rapporti interpersonali: il concetto di privacy mantiene il suo significato originale? E’ richiesto l’apporto di esempi concreti.

Chi ha mantenuto contatti con la scuola del dopo-Berlinguer, sa che una traccia del genere è attualmente inverosimile, perché i temi non esistono più (e con loro nemmeno le tracce). Esiste il saggio breve, infatti, che si compone di un titolo brevissimo (in questo caso era: Internet, social network, new media; nient’altro) e da una serie di documenti che lo studente deve usare (qui il solito pdf con le tracce vere e i documenti veri). Dunque la formulazione molto divulgata in questi giorni è falsa.

Il che cambia non poco le carte in tavola. Anche perché l’ambito a cui tale traccia faceva capo era quello “tecnico-scientifico”; il che, penso io, presupponeva una trattazione un po’ particolare, forse fin troppo impegnativa per ragazzi di diciannove anni (e per insegnanti di lettere, che devono valutarla). Ma i documenti andavano comunque tutti in un’altra direzione, quella della privacy, della partecipazione, della  memoria collettiva e dell’invadenza delle nuove tecnologie. Tutte questioni meno scomode, insomma.

E qui, infatti, viene il bello. La traccia ha avuto molto successo, secondo i dati diffusi dal ministero: è stata scelta da circa un terzo degli studenti (non so come abbiano potuto calcolarli: nessuna commissione, infatti, può inviare i dati al ministero prima della pubblicazione dei risultati, che sarà lunedì sera o martedì mattina: anche questo è un bel mistero. Saranno statistiche, immagino). In realtà, nella mia scuola, è stata scelta da una risicata minoranza di studenti; i più hanno preferito l’analisi di testo su Svevo, che era molto facile e comoda o il saggio su Innamoramento e amore, d’impatto più emotivo. Ma, in ogni caso, i saggi brevi sui nuovi media che  ho corretto io (e sono partito sabato mattina proprio da quelli, per mia personale curiosità) hanno tutti sostenuto la stessa tesi.

Vale a dire: Internet è un rischio, i social network sono pericolosi, nessuno può più stare da solo in silenzio nemmeno un attimo, non si sa mai chi si incontra, bisognerebbe controllare chi si iscrive a Facebook, ci sono tanti pericoli… Ve lo garantisco: praticamente tutti così, con questo tono da grande fratello orwelliano, che nemmeno l’onorevole Carlucci.

E, vi garantisco anche questo, non mi sono stupito più di tanto. Perché i ragazzi che conosco io frequentano la rete, è vero, ma solo superficialmente, senza davvero sfruttarne la potenzialità, per la maggior parte. La usano per copiare pezzi giganteschi di tesine o di ricerche; per scambiarsi video e fotografie su Facebook; per parlare tra di loro senza spendere i soldi del telefono. E non gli si vuole nemmeno dare torto: fanno bene, lo farei anch’io.

Poi, però, al momento di parlarne diventano moralisti, molto moralisti. Forse è il contesto “esame” che li induce a questa scelta, è possibile; forse è l’adolescenza stessa che, per sua natura, è portata spontaneamente al moralismo; sta di fatto che tutti, quasi senza eccezione, hanno parlato dei pericoli della rete, nessuno dei vantaggi. E, in genere, scrivendo cose banali, affidandosi ad argomenti molto scontati, replicando i timori del giornalino della parrocchia, se ancora ci fosse.

Magari sono i miei alunni, avete ragione; magari dovevo essere io a informarli meglio. Però mi sembra strano, visto che per esempio c’è stato chi, come Vittorio Zambardino ha, fin dal primo giorno, sostenuto che non sarei stato nemmeno in grado di correggerli, certi temi, perché sono molto più indietro di loro, dei ragazzi, su questo argomento. E come avrei potuto spiegarglielo, allora?

E anche chi, come Giovanni Boccia Artieri, dopo avermi dato consigli sulla correzione dei medesimi, ha sottoscritto la proposta (di Mario Tedeschini) di analizzare un campione di questi saggi per «interpretare come i nativi italiani pensano sé stessi nei social network, per come mettono in narrazione la Rete, per capire come pensano il mutamento e che consapevolezza critica hanno».

Temo sarebbe una delusione. Temo che, per esempio, Boccia Artieri rimarrebbe perplesso nel constatare che dei miei alunni che hanno scelto quella traccia, nessuno ha citato il suo brano (proposto insieme agli altri): credo perché era troppo difficile, proprio perché era il più problematico. Hanno optato per tutt’altro, più agevole, discorso.

E chiudo con un’ultima considerazione. Leggo, su Sussidiario.net, questa riflessione in proposito di Elio Sindoni (che non condivido, sia chiaro):

Un fenomeno (i social network) che chiaramente è a danno dell’unicità della persona e della sua libertà. Il fatto di essere o, peggio, di sentirsi continuamente spiati, in questi giorni anch’esso particolarmente attuale, è solo uno dei sintomi di tale malessere. Personalmente comincio a sentire un certo senso di stanchezza, ma non sono sicuro che questo sentimento sia condiviso o condivisibile da ragazzi di diciotto anni. (…) Se un ragazzo impostasse il suo tema sotto quest’ottica rischierebbe a mio avviso di comporre un elaborato realmente originale.

Ecco, l’articolista del Sussidiario stenterà a crederlo, ma i miei alunni hanno scritto tutti quello che ha detto lui; alcuni anche con più forza e meno esitazione della sua. Forse è perché ci fa un sacco piacere parlare dei diciottenni di oggi e della loro rivoluzione in atto o di come vorremmo che fossero o ci immaginiamo che siano; ma non sappiamo per niente di cosa stiamo parlando, in realtà.

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Pubblicato su cronache scolastiche, i post degli altri | Contrassegnato da tag i pericoli del web, nativi digitali, traccia sui social network alla maturità | 23 commenti

23 Risposte

  1. su 28/06/2009 a 15:38 lo scorfano

    Letto, ora, anche questo post sul blog contaminazioni: piuttosto vicino alle mie posizioni.


  2. su 28/06/2009 a 16:46 Thumper

    Non è che i tuoi studenti magari scrivono ciò che credono chi corregge i loro compiti voglia leggere, cosa che sperano gli garantisca un voto positivo?


  3. su 28/06/2009 a 17:05 tea

    ahi, ahi Thumper, cosa dice papà? quando devi dire la verità, non andare così diretta, perchè il prof non vuole fare i corsi per capire i ragazzi e così si trova di fronte a delle VERE cime di moralismo e per lui può essere un vero colpo sentire certe cose…. Caro Prof, alcune volte ti sento così ingenuo….. non me ne vorrai , no?! Mi piaci per questo…


  4. su 28/06/2009 a 17:13 lo scorfano

    Vi giuro che non vi capisco, a voi due… 😉 I miei studenti non sanno bene quel che io penso; e peraltro quel che penso è l’esatto opposto di quel che loro hanno scritto…


    • su 28/06/2009 a 17:25 Thumper

      [Non puoi capirci, siamo donne ;)]

      Leggi bene quello che ho scritto: ciò che credono chi corregge i loro compiti voglia leggere non corrisponde necessariamente a ciò che pensa chi legge (tu, in questo caso) 🙂


      • su 28/06/2009 a 17:29 lo scorfano

        Sì, hai ragione. Diciamo allora che non ho affatto capito quello che intendeva Tea. Hanno scritto il contrario di ciò che penso io, e mi pareva fosse chiaro; non mi sono affatto stupito di quello che hanno scritto, e anche questo era piuttosto esplicito…
        Il mio problema, in questo post, è piuttosto un altro: che c’è qualcuno che pensa di sapere in anticipo quel che scriveranno i ragazzi; e si entusiasma al solo pensiero. Anche se poi le cose vanno un po’ diversamente, nella realtà…


  5. su 28/06/2009 a 17:27 mfisk

    Vedo che qui si parla di un’altra delle mie grandi passioni… sta quasi soppiantando Matteo, ormai.


    • su 28/06/2009 a 17:30 lo scorfano

      Sapevo quel che facevo. Sapevo anche che non avresti resistito.


      • su 28/06/2009 a 17:38 mfisk

        Non è che i tuoi lettori magari scrivono ciò che credono chi tiene il blog voglia leggere? ;-P


        • su 28/06/2009 a 17:53 Thumper

          😀 😀 😀


  6. su 28/06/2009 a 19:08 gboccia

    Il fatto che il tema venga trattato con toni moralistici è un dato interessante. Ma le argomentazioni che toccano per essere moralisti, il linguaggio utilizzato, la tipologia di scuola, il territorio di riferimento, ecc. sono variabili interessanti da indagare.
    Sarà così dappertutto? Per ogni tipologia di scuola? Per ogni tipo di territorio? Nelle realtà metropolitane e in quelle periferiche?

    Non mi stupisco che un tema come questo sia trattato anche così, e magari dalla maggior parte dei ragazzi. Che siano nativi digitali non significa che siano early adopters entusiasti delle possibilità di certa democratizzazione ed assoluta parità partecipativa (che è poi una panzana che magari adesso, dopo alcuni anni di tecno-entusiasmo dovremmo cominciare a rivedere in chiave critica).

    Resto dell’idea invece che ci troviamo quantitativamente di fronte ad un materiale che valga la pensa utilizzare a fini di ricerca.


    • su 28/06/2009 a 19:20 lo scorfano

      Io lavoro in una zona periferica del Nord, il che, indubbiamente, può avere inciso. Forse nelle aree metropolitane la traccia è stata più scelta e meglio sviluppata.
      Poi, devo dire, si trattava anche di saggi fatti bene: ben costruiti, ben argomentati, senza evidenti mancanze disciplinari (e come disciplina intendo la mia, l’italiano). Ma con argomentazioni molto ovvie, però; e soprattutto con toni che tendevano a percorrere strade molto battute, forse per paura dell’esame (non certo per compiacermi, viste le menate che da anni faccio loro sulle riorse della rete…).
      Io non so come si potrebbe usare tutto questo materiale. Sarebbe un’analisi molto complessa da portare avanti, una sorta di scansione di migliaia di temi che finiscono per riflettere semplicemente le posizioni più comuni e dominanti. A volte, ho l’impressione che si sopravvalutino di molto le possibilità di essere originali dei diciannovenni; i quali rielaborano per lo più idee già sentite e spesso ormai vecchie.
      E, intendiamoci, è giusto così: lo abbiamo fatto tutti a quell’età; si chiama formazione anche per questo. E’ nel pretendere più di questo che io leggo una piccola illusione.


  7. su 28/06/2009 a 20:31 Mario Tedeschini Lalli

    Mi sembra molto interessante — e che confermi l’utilità di uno studio sistematico dei testi 🙂

    Questi primi risultati tendono a confermare una ipotesi che facevo, che cioè si sarebbe trattato di cose generiche, probabilmente influenzate dal “coverage” dei media mainstream. Anche in un ambiente “avanzato” come la scuola di giornalismo (post laurea) dove insegno da 15 anni sono andato scoprendo nei giovani un atteggiamento molto “vecchio” alla Rete e agli strumenti della conoscenza digitale.

    Non dobbiamo “giudicare”, solo cercare di sapere, avere finalmente dei dati. Se dall’indagine risultasse preponderante un atteggiamento come quello descritto in questo minuscolo campione, avremmo almeno demolito alcuni luoghi comuni sui “giovani” e la loro omogeneità all’universo digitale. Che, magari, utilizzano questi strumenti come utilizzano il motorino, senza necessariamente rilfettere sulle conseguenze personali e sociali.

    Ne sarebbe valsa la pena no?


    • su 28/06/2009 a 20:38 lo scorfano

      Sì, è vero ne sarebbe valsa la pena, sono d’accordo. Poi, lo sottolineo come hai già fatto tu, il campione è minuscolo e localizzato, per cui forse poco indicativo.
      E il paragone con il motorino mi pare molto pertinente; o almeno è pertinente a quello che vedo io, se non vedo male, va da sé.


  8. su 28/06/2009 a 21:16 Paride

    Io(per chi mi conosce notoriamente portato al moralismo) non ho stranamente toccato in alcun modo questo aspetto.
    E non mi sento neppure di sottolinearlo come aspetto fondamentale dei New Media.
    Piuttosto ho puntato sulle potenzialità sociali e politiche di queste novità, sulla possibilità(soprattutto legata ai blog) di un nuovo associazionismo politico che possa fare uscire dall’ individualismo imperante negli ultimi anni.
    E ancora sul dovere della politica di utilizzare la blogosfera come utile fonte di informazione per gli indirizzi da prendere in politica economica e sociale(per esempio, se la Gelmini leggesse qualche blog capirebbe le priorità della scuola italiana…).
    Sarà che il mio moralismo si rivolge solo a soliti vecchi e scontati temi…


    • su 28/06/2009 a 21:23 lo scorfano

      Tu rappresenti una minoranza già ora secondo me. Frequenti i blog, lasci commenti, ecc.
      Abituati… 😉


      • su 28/06/2009 a 21:35 Paride

        Credo che sia stata proprio la scoperta del mondo dei blog (partita dal tuo, dal momento che scrivi così tanto sulla scuola) che mi ha fatto capire, almeno parte, le potenzialità reali del web.
        E’ ovvio che per chi si limita a feisbuk ed a poche altre applicazioni tutto ciò resta oscuro…


  9. su 28/06/2009 a 22:47 Nativi inconsapevoli « I media-mondo. La mutazione che vedo attorno a me.

    […] emergono pure sugli alunni tacciati in molti post (vedi, ad esempio qui) di qualunquismo o moralismo da tema: Vale a dire: Internet è un rischio, i social network sono […]


  10. su 30/06/2009 a 08:35 sharon sala

    Letto il post davvero ineressante.
    Comunque non mi stupisco che alcuni studenti abbiano trattato la traccia con molto moralismo e la classiaca paura del grande fratelle.
    Mi accorgo sempre di più che c’è molta gente in giro, soprattutto tra i giovani, che hanno paura della rete come se dietro ad ogni profillo di FB & C. ci sia un mostro che gli aspetta.
    Conosco persone che non vogliono che vengano pubblicate foto con il loro volto e addirittura su FB hanno messo un immagine qualsiasi nel profilo, sembra che abbiano paura che ci sia nel web qualcuno che gli rubi l’immagine e la usi per scopi illegali.
    L’unica speranza a questo punto è che ci sia più informazione tra la gente, di ogni età, per far percepire le potenzialità della rete e sfatare alcuni miti.


  11. su 30/06/2009 a 09:44 ArMyZ

    L’approccio estremamente moralistico (o “bacchettone”) può essere indotto dall’asimmetria implicita tra chi corregge e chi viene corretto.
    A torto o a ragione, lo studente suppone di saperne più del docente su certi new media specialmente se al saggio viene dato un taglio tecnico.
    A questo punto, in questo scenario, potrebbe (e ripeto, potrebbe) essere verosimile che lo studente scriva concentrandosi sul target di chi corregge e su quello che suppone sia atteso e ben recepito da chi corregge.

    Altro aspetto da tenere in considerazione, a mio avviso, è che il problema privacy c’è, esiste anche se merita sicuramente una trattazione più ampia e circostanziata.

    Io credo che i “nostri ragazzi” ne siano usciti vincenti perchè in entrambi gli scenari ipotetici hanno mostrato uno spiccato senso di adattamento che non siamo abituati a trovare in 18enni.
    Certo, il pegno da pagare potrebbe essere la mancanza di spontaneità.
    Ma cinicamente, l’obiettivo, non è superare l’esame?
    Credo fermamente che i giovani “vivano” la rete mentre noi la utilizziamo.
    Noi l’abbiamo vista nascere ed evolvere, loro ci sono cresciuti dentro: forse dovremmo considerare anche questo.

    Just my 2 cents,
    A.


    • su 30/06/2009 a 09:51 lo scorfano

      Il tuo intervento mi lascia alcune perplessità. I miei studenti mi conoscono, sanno cosa penso delle rete, sanno (credo, anche se mai gliel’ho detto) che ho un blog, forse ogni tanto lo leggono anche. E sapevano che sarei stato io a correggere i loro temi. Per cui, a rigor di logica, per compiacermi, avrebbero dovuto scrivere il contrario.
      Anche sulle tue righe finale, resto perplesso: si ha più consapevolezza di qualcosa che si vede nascere o di qualcosa a cui si nasce dentro? Secondo me se ne ha di più nel primo caso, proprio perché si ha il tempo di rifletterci. “Vivere” la rete, come di dici tu, implica il contrario della consapevolezza; implica una naturalità che esclude qualunque riflessione. L’ho scritto nel post di oggi sulle lavatrici. Grazie dei tuoi due cents, apprezzati
      (E grazie anche a sharon sala, che è più sulla mia linea e al cui intervento ho quindi meno cose da aggiungere)


      • su 30/06/2009 a 10:43 ArMyZ

        Preciso che la mia non voleva essere una critica nè nei tuoi confronti nè tanto meno verso i tuoi studenti.
        Quando parlo di asimmetria del rapporto, credo che abbia l’apice proprio in sede di esame, verifica finale, specie in commissione. Credo si possa anche parlare di una commistione di fattori umani e ambientali che non sempre lascino l’allievo “in grado” di esprimersi “liberamente”.
        Per quanto riguarda l’osservazione relativa anche al post della lavatrice (che ho letto dopo aver commentato) mi trova d’accordo con te nell’evidenziare un differente approccio tra chi l’ha vista nascere (la Rete) e chi l’ha sempre vista attorno a sè ma arriviamo a posizioni diverse.
        Vivere la rete, secondo quanto ipotizzo io, significa avere la semplicità e l’immediatezza d’uso che è disarmante per noi che l’abbiamo vista nascere ma non esclude, a mio avviso, la riflessione e la capacità critica.
        I diciottenni di oggi hanno usufruito di una pluralità informativa e mediatica che noi ci sognavamo alla loro età (e che rischiamo di continuare a sognare ma questo è un altro discorso,ndr).

        Secondo me sono molto più riflessivi di quanto si immagini *anche* grazie a questi stimoli che non hanno dovuto intepretare, misurare, imparare a gestire e ad usare come noi. E’ normale, scontato, fanno parte della normale vita quotidiano.

        Noi abbiamo perso tempo per imparare ad usare più o meno consapevolmente la rete. Loro, in questo senso, la “vivono”.

        Forse ho contestualizzato un po’ meglio quello che intendevo.


        • su 30/06/2009 a 10:52 lo scorfano

          Leggo quello che mi scrivi, capisco e condivido molte delle tue considerazioni, ma su altre resto ancora un po’ perplesso; in particolare sull’ultima, quella relativa al “vivere” la rete e alla “pluralità informativa e mediatica” di cui usufruiscono i diciottenni di oggi. E’ inutile che ripeta quanto ho già detto, per cui mi esimo e non ti stresso oltre. Ti dico solo: io spero che tu abbia più ragione di quanta ne ho io. Forse io esagero nel vedere solo alcuni aspetti della questione, speriamo.
          E’ inutile anche che ti dica che qualunque critica (anche lo fosse) espressa con i toni che usi tu non può che essere apprezzatissima.



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