(di Gionata)
Dico che lavoro in una libreria di un centro commerciale e allora sempre, o quasi sempre, mi sento dire: “Che bello lavorare in una libreria, stai in mezzo ai libri”. Vorrei dire che “in mezzo” non ha alcun significato e che “libri” significa “scopa”, “sedia”, “televisore”. Lavoro in una libreria e sempre più spesso l’impressione del giorno che passa, che toglie cifra alla lista dei giorni, è che non mi sembra neppure di avere a che fare con i libri. Lavoro in una libreria e sono commesso di questo secolo (questo mi fa simile a voi) per dare affitto, per avere benzina e presenza al supermercato della zona. Gli extracomunitari portano i bancali e io firmo bolle, ricevute, afferro taglierini, apro e sviscero contenitori. La mia (questo ancora mi fa simile a voi) è presenza sul campo, è posizione stabilita dall’orario della settimana. Dalla mia libreria guardo fuori e vedo le commesse che di notte hanno pianto. Le commesse che, come me, di notte hanno sognato ancora una volta le briciole rimaste sul tavolo, il fondo del bicchiere, la fetta avanzata. La nostra è sorte mossa dal mercato e il mercato, questo io sogno ancora nelle notti fredde e lunghe, amputa l’anima. Muovo il piede per dare e la bocca per rispondere, prendo una scaletta di legno per aggiungere centimetri alla mia statura e per afferrare titoli che non meritano altezza d’uomo.
Lavorare in una libreria significa osservare destini compiuti, uomini che mi dicono come sono e come sarò. Oggi la libreria è il luogo in cui scopro di essere stato sbagliato per tanti anni (innocente e ingenuo), è l’angolo in cui aspetto che qualcuno getti la spugna per me. A domanda, risposta, a richiesta, scatto. La coppia che oggi entra mano nella mano tra qualche mese non entrerà più mano nella mano. Poi non entrerà più. O entrerà lui da solo, o lei da sola. Insieme, ricordo, avevano comprato le poesie di Neruda, poesie d’amore ovviamente. Ridevano alla cassa e se ne erano andati dimenticando il resto sul bancone, cinque euro e trenta centesimi; ridevano con Neruda sottobraccio, con i versi che si rovesciavano dal libro e si perdevano per strada.
Si fa tutto velocemente: afferro, corro, non ho il tempo di parlare, poco per consigliare, tanto per consumare e sprecare, tantissimo per far guadagnare. Mentre lavoro in libreria qualcuno scrive libri e mentre qualcuno scrive libri imprenditori aprono librerie e mentre qualcuno apre librerie i farmacisti vendono psicofarmaci e mentre i farmacisti vendono psicofarmaci io afferro la cinquantesima copia di “Uomini che odiano le donne” e mentre afferro “Uomini che odiano le donne” le madri e i padri di noi commessi piangono in un cesso di periferia e si chiedono se ne vale la pena di spostare la tenda per guardare il quartiere sprofondare nella notte e di continuare a sperare per sé e per i propri figli. I librai sono destinati a non saper nulla di libri.
Gionata, altro che vendere libri, li dovresti scrivere!
Per chi ama i libri lavorare in una libreria rappresenta molto spesso un sogno idealizzato, come quelli che hanno i bambini quando chiedi loro: cosa vorresti fare da grande? E’ difficile che rispondano l’impiegato…
In effetti alla fine si riduce ad essere un lavoro come un altro.
Ma con la grande sensibilità che hai sono sicura che dentro di te ami il tuo lavoro e che riesci a trasmettere in qualche modo agli altri la tua passione.
Amo tanto il mio lavoro, hai ragione Lulu, e per questo diventa non un lavoro come un altro, ma peggiore di un altro….
perché “Gionata” non è cliccabile?
chi è Gionata?
Gionata è un mio amico, non-blogger. Non ha nessun link di riferimento. Vive nel mondo reale, almeno lui… 😉
…almeno lui potrà aver salva la sua anima? 🙂
Sì, vivo nel mondo reale che fa abbastanza schifo….
sei bravo, Gionata.
Era il mio sospetto, da quando sogno di aprire una libreria, ovvero da sempre: che vendere libri sia un’idealizzazione di un altro desiderio, quello di leggerli e di viverli.
Certo, strare in una libreria è meglio che stare in miniera, ma il punto è un altro: il tempo e il senso del lavoro. Stare in miniera può essere bello, non so, ma non certo 12 ore e senza nessuna misura di sicurezza e sicuramente non per estrarre carbone che poi ci avvelenerà in qualche centrale elettrica. Così come è affascinante stare in una sala server rumorosa e piena di computer, ma lo diventa un po’ meno quando non si hanno gli strumenti per lavorare (un tavolo, una sedia, dei tappi per le orecchie…) e il server che prepari servirà alla tua banca per rapinarti meglio.
Anche i librai hanno lo stesso problema: il tempo e il senso del loro lavoro. Ho paura però che tempo e senso dovremmo mettercelo noi.
Buon lavoro, Gionata.
E’ vero : i librai , soprattutto quelli che hanno librerie molto moderne e frequentate , sono destinati a sapere poco di libri! In fin dei conti una libreria è un negozio , come altri …purtroppo!
Ma c’è un aspetto che mi affascina e leggendo tra queste righe ne ho conferma : il tuo libro , signor libraio , è la vita di chi i libri li compra. Un essere umano – un titolo … siamo ciò che leggiamo e i titoli che scegliamo raccontano tutta una storia su ognuno di noi!
E magari potresti scriverlo questo libro …un libro sui libri e sulle vite che ci finiscono dentro !
Magari mi sbaglio, ma la libreria è, insieme ai bar notturni, il luogo ideale per spiare la vita degli altri e quindi la propria.
Da parecchi anni penso ad un libro, ma poi finisce che preferisco fare altro…
@koalanation
“il tuo libro , signor libraio , è la vita di chi i libri li compra.”
Epperò, vendere tante copie di certi libri (non faccio nomi) mette a dura prova lo spirito avventuroso del libraio. O no? 🙂
Alla millesima copia si è già completamente insensibili. Narcotizzati quasi.
I miei complimenti a Gionata, il sopravvissuto. L’imizio mi fatto subito pensare “Lavoro in una libreria e sono commesso di questo secolo” a “La Bella Estate di Pavese” a quella sua ambientazione di periferia, di mondo vissuto giorno per giorno, fatto di lavoro e evasione domenicale.
ciao mariano
Non conosco evasione domenicale (e neppure fiscale) visto che spesso lavoro di domenica. I tempi peggiorano.
Ti ringrazio tanto per i complimenti, davvero.
Gionata, complimenti.
La prossima volta che entrerò in libreria, chiederò al titolare o al commesso di suggerirmi un titolo, pensando che possa essere tu.
Se è un po’ antipatico sono io.
Grazie
@ il comizietto : ah ah ah ah è vero … durissimissima prova !!!!
@Gionata : ogni tanto i libri possono anche essere usati come armi … un bel “lancio del tomo” !
ps:Quoto in toto la tua affermazione :”la libreria è, insieme ai bar notturni, il luogo ideale per spiare la vita degli altri…” …non sai quanto hai incredibilmente ragione!
ecco, potrei aprire un ristoranino per gli amici con annessa libreria. ma vendo solo i libri che voglio io (niente dante e manzoni…). anzi, non li vendo, si leggono lì, come quei bar che tengono i giochi… 🙂
lucia, mi offro come cuoca, sto pensando alla pensione…
Le librerie dei centri commerciali sono quelle che mi piacciono di meno. Penso, ma posso sbagliarmi ,che chi frequenta i centri commerciali difficilmente venga appositamente in libreria. Tra la spesa settimanale e lo shopping sfrenato ci si infila anche il libro….
Le librerie di un tempo non ci sono piu’, ora sono tutte uguali, anche quelle fuori dai centri commerciali si sono allineate al mercato. I commessi poi, difficilmente ti sanno parlare di un libro….
Questa storia mi ricorda…Firmino…vista la tua malinconia spero che a te vada meglio!
No, anche nelle librerie dei centri commerciali ci sono clienti che hanno deciso di venire in una libreria. La mia libreria, e non perchè ci lavoro io, è, a mio parere, di gran lunga più sana di una Feltrinelli di città. Perchè quest’ultime ormai sono diventate dei luna park, hanno studiato le nostre mosse. Da me, e sicuramente da altre parti, c’è qualcosa di assai più intatto e autentico. Ma la logica di mercato ci sta ingoiando. Tutti quanti.
Qui vicino a dove abito io -grande città- c’è ancora una libreria di quartiere, dove lavorano in tre, a turni perchè è una libreria piccolina. Quando mi capita di entrare con i figli (tre) impallidiscono, poi si rassegnano, e poi si illuminano parlando delle ultime novità, delle cene con gli autori, dell’ultima presentazione a cui sono andati 🙂
Io credo che a loro piaccia, quel lavoro.
Senza offesa, ma mi è salita una depressione…
Ipà, non volevo scriverlo, ma anche a me ha fatto lo stesso effetto, nulla da dire come è stato scritto, ma mi ha ricordato tanti post del prof nei suoi giorni neri, e ne ha abbastanza di giorni neri, eh!
Ma un amico un po’ ottimista, no eh?
Anch’io lavoro in libreria…e ti capisco. Solo cerco di essere ottimista e continuo ad osservare e scrivere..