e poi, il futuro

Mi ci è voluto un po’ di tempo, lo ammetto. Ho dovuto prima raccontare le mie impressioni a voce, tumultuosamente, a chi tutti i giorni mi sopporta; poi ho provato anche a parlarne a scuola, con i miei studenti di terza (ma nessuno di loro ne sapeva niente, ahimè); poi ho avuto anche uno scambio di posta elettronica con un’amica, che mi chiedeva che cosa ne pensassi e mi raccontava che cosa ne pensava lei; e alla fine, solo adesso, venerdì notte, a distanza di 36 ore, riesco a scrivere che a me è sembrato di vedere un po’ di futuro, giovedì all’ora di pranzo, davanti alla tv.

È del discorso di Obama che sto parlando. È di quel suo modo di spalancare le porte, far prendere aria ai problemi, di quel suo modo di dare vento alle cose del mondo, così chiuse e soffocanti. Sì, è stato un po’ come sentire il vento che si porta via l’aria stagnante, l’altro giorno. Poi in tanti hanno subito detto e precisato che Obama non ha affrontato i problemi veri; che sulle armi nucleari iraniane è stato vago; che anche su Israele e la Palestina è stato vago. Può darsi.      

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