Mentre a Roma l’unico partito di sinistra presente nel parlamento italiano sta eleggendo un segretario non di sinistra, io mi interrogo un poco su una questione che è emersa su alcuni blog nei giorni scorsi e che solo all’apparenza non ha niente a che fare con la cronaca.
C’è un appello-petizione che circola in rete. Il testo lo trovate sia qui sia qui. È un bel testo, stringato ma con alcune parole importanti: innovazione, trasparenza, equità, cambiamento, coraggio, urgenza, lavoro, senso di responsabilità. A un certo punto si dice che il nuovo PD dovrà essere «un progetto culturale prima ancora che politico».
Stavo già per dare la mia adesione, quando ho letto il breve e un po’ caustico commento di mfisk, su non ne so abbastanza. E mi sono bloccato. Ha ragione lui, ho pensato: qui c’è ben altro a cui pensare e soprattutto ci sono ben altri personaggi da fronteggiare. E non si può certo pensare di fronteggiarli con queste parole e queste idee vaghe. Questo è davvero velleitarismo, come dice lui: nel senso delle ambizioni irrealizzabili e della loro sproporzione rispetto al contesto e alle forze di chi dovrebbe realizzarle. E dunque non ho più aderito.
E però, ci penso ancora. Perché è vero che con avversari politici come Ciarrapico non c’è progetto culturale che tenga; ma è anche vero che il terreno di confronto (il campo da gioco, direbbero gli altri) non lo si può sempre far scegliere agli avversari. Forse è stato proprio questo il maggior errore di Veltroni: accettare di giocare su quel campo lì, sul campo avversario, dove è troppo evidente che si perderà sempre, anche se le elezioni si ripetessero ogni sei mesi per vent’anni.
Una profonda innovazione politica deve per forza passare attraverso una spinta culturale al cambiamento. È questo il terreno su cui bisogna essere più forti e su cui bisogna necessariamente trascinare l’avversario politico. Non si tratta nemmeno di volare alto, ma almeno di alzare un po’ lo sguardo da terra. Non può essere tutto qui, ci mancherebbe. Continua ad avere ragione mfisk su tante cose: un po’ di sano realismo politico non deve mancare. Ma non ci si può negare fin da principio una battaglia di più ampio respiro, un respiro che sia anche culturale, appunto. Perché in realtà è proprio la cultura italiana che è stata molto cambiata in questi anni da chi ci governa: grazie ai vecchi media e alla loro vecchia informazione e alla loro vecchissima propaganda subculturale.
Voglio dire, per esempio: non si può combattere l’idea delle ronde soltanto con un po’ di ironia e stigmatizzando la perfida malvagità di chi le propone, senza aver prima prodotto un’idea diversa, più forte di quella lì, che è soltanto dettata dalla paura e dalla percezione dell’insicurezza. Bisognerà combattere la paura e le sue ragioni, non semplicemente ostinarsi a dire che le cifre dimostrano che non c’è affatto maggior criminalità, che gli stupri sono diminuiti eccetera. A mia madre infatti non importa nulla delle statistiche, perché lei ha paura. E non crede affatto (e nemmeno io) che quelli siano perfidi malvagi senza alcuna ragione dalla loro parte. E quindi sarà necessario insistere sulle motivazioni dell’idea contraria, con gli esempi e con la forza della propria intelligenza del mondo. Con la cultura che deve stare alla base di tutte le nostre buone ragioni e che è senz’altro più forte della cultura della paura. E altrettanto deve valere per il testamento biologico, per le unioni civili dei gay e per tutte le altre questioni che la cronaca del nuovo millennio via via proporrà.
È anche, e parecchio, una questione culturale quella che un partito di sinistra in Italia deve fronteggiare. Non può essere soltanto una battaglia di politica spicciola o una caccia al voto casa per casa. Altrimenti si diventa come loro, solo con un simbolo diverso sul taschino della giacca. Altrimenti qual è la diversità di cui ci facciamo portatori? E si perderà ogni volta, perché il campo da gioco è di loro proprietà (non solo metaforicamente, tra l’altro) e anche il pallone è loro. Niente da fare.
Ora ci penso ancora un po’, per sicurezza, ma forse firmerò l’appello. Con immutata stima per l’acume politico di mfisk, ma con la voglia di un progetto che punti in alto almeno al suo sorgere, anche se poi magari si dovrà aggiustare un po’ il tiro. È proprio a questo che dovrebbero servire le nuove generazioni, no? Ad avere il tempo per qualche progetto culturale di respiro un po’ più ampio.
per me il problema è un altro, se un partito è a prescindere favorevole a unioni gay,eutanasia, testamento biologico e libera immigrazione e l’altro è a prescindere contrario a tutte queste idee (puoi anche invertire l’ordine di questi fattori), la gente, noi elettori, percepiamo queste come non-idee, come bamndiere volte solo a sconfiggere l’avversario verbalmente, poi nessuno farà niente (non c’è benzina nella auto della polizia adesso come non c’era durante il governo Prodi).
Vane parole volte ad abbindolare le folle, e mi sa tanto che abbindola di più la speranza di diventare singolarmente ricchi.
Trasparenza, equità, cambiamento, coraggio, urgenza, lavoro, senso di responsabilità… un manifesto futurista, astratto. La realtà è un partito che non ha preso posizione su niente, non ha messo in evidenza le difficoltà del governo sulla crisi, è diviso perfino su una elementare battaglia di laicità come il testamento biologico. E oggi ha eletto segretario un democristiano che D’Alema e co. se lo pappano subito (anche se al congresso a fatto il duro: “da oggi decido io!”).
Ed è andata ancora bene: pensa, caro Scorfano, se fosse passata la proposta di primarie di Parisi… si sarebbero scannati tutti in pochi giorni e alle urne non sarebbe andato nessuno; la partecipazione si vede nei circoli con le proposte, non con i plebisciti alle urne!
Anzitutto ti ringrazio per la stima, peraltro ampiamente ricambiata.
Rileggendomi mi rendo conto che quel post è stato scritto, come spesso mi succede, troppo in fretta.
Convengo anch’io che sia necessario controbattere anche con argomenti culturali il pragmatismo arraffone: e invece sembravo quello che di fronte alla parola “cultura” mette mano alla pistola.
Quello che volevo combattere è l’idea contenuta in quel “prima ancora che”.
“Un progetto culturale prima ancora che politico” è una cosa nobilissima, se si sta mettendo su una filodrammatica; ma una sciocchezza se si cerca di creare un partito politico