A un certo punto del primo anno di corso di latino, immancabilmente, si verifica l’evento più atteso, quello che in silenzio ha scosso le coscienze degli studenti per troppe settimane. Uno di loro, in genere quello che ha più iniziativa o più consapevolezza o semplicemente quello che ha meno freni inibitori, alza la mano e mi fa la domanda. Quella domanda, quella che giaceva senza risposta da troppo tempo ormai. Di solito, la domanda si accompagna a una breve premessa: «Io lo so che non c’entra molto, ma, mi scusi, se posso, volevo chiederle…» E la domanda è esattamente quella che si deve fare a un certo punto del primo anno di corso, senza eccezioni: «Ma a cosa serve il latino?»
Naturalmente è una domanda per cui io non ho risposte. O meglio ne ho tante, tutte un po’ parziali, tutte da discutere, tutte generate dall’innata simpatia che io, di persona personalmente, provo per il latino. («E perché ti sta simpatico il latino?» mi si chiede. Sostanzialmente perché sta antipatico a tutti: alle mamme, agli studenti, ai colleghi delle altre materie, a molti blogger, a Renzo Tramaglino, perché don Abbondio lo usa per raggirarlo, e anche a don Abbondio, evidentemente, se lo usa per quello scopo; e poi a tutti i ministri della pubblica istruzione, e pure a gran parte dei presidi, che per misteriosi motivi lo odiano.)
Ma, a uno studente di prima, una risposta è sempre dovuta, se non altro perché ha avuto l’intelligenza e il coraggio di fare la domanda, che non è da tutti, a quindici anni. Solo che la risposta del prof, sappiatelo una volta per sempre, non può essere sempre quella giusta; perché il prof ha una sua vita, ha le sue paranoie, i suoi umori e la sua fidanzata che magari vuole anche uscire la sera. E quindi la risposta a quella fatale domanda dipende, costantemente e senza eccezioni, dall’umore che quella mattina ha il prof. Secondo questa breve e forse nemmeno esauriente rassegna:
1. Lunedì ore 8, schifo di vita, umore di merda: la mia squadra del cuore ieri ha perso all’ultimo minuto; nel pomeriggio devo andare a lavorare a Milano; ho dormito male e ho sognato che la mia collega di russo ha vinto al superenalotto; il tg di Sky della mattina ha passato l’immagine del ministro Alfano tre volte in trenta secondi; ho anche trovato un ragno enorme nel garage.
Risposta: «Il latino serve a fare fatica: fatela, e non mi scassate le palle». Perché studiare il latino è faticosissimo, sia detto: perché non basta memorizzare, bisogna anche riconoscere, applicare le regole, tenere a mente le eccezioni… E poi il latino è fetente e traditore al massimo grado: se una volta ti distrai, anche una volta sola, lui ti frega subito, ti prende alle spalle e non c’è niente da fare. Il latino è fatto così: non studi una unità didattica, perché tanto sei stato appena interrogato, ed ecco che quell’unità ti perseguita per mesi, e a recuperare ci metti del tempo, tanto tempo. Non è come la storia, che la studi, prendi un 7 e tutto è sistemato; se hai 4 in latino, puoi studiare per due settimane, fare tutti gli esercizi, stare attento alla correzione, impegnarti, e alla fine magari, con un po’ fortuna, prendi 4 e mezzo; e dopo altre due settimane di studio intenso, forse prendi 5; e corri il rischio che a prendere 6 ci arrivi nel 2011, se non succede un miracolo. «Imparate a fare fatica, che vi servirà, quindi; che è un buon allenamento, che tanto le occasioni per far fatica, nella vita, non vi mancheranno. E ora basta con queste idiozie, che vi devo interrogare sulla perifrastica attiva.» Segue interrogazione del primo della classe, che alle 8 del lunedì non si rischia niente.
2. Martedì ore 10, cielo sereno, umore pedagogicamente costruttivo: poche ore durante la mattinata; nessuna riunione pomeridiana e domani è il mio giorno libero; la mia squadra del cuore ha annunciato l’acquisto di un giovane fenomeno montenegrino; ho dormito bene; si annuncia serata piacevole; comprata bottiglia di ottimo vino bianco francese; il tg di Sky della mattina annuncia che Veltroni si è dimesso.
Risposta: «Il latino serve a pensare bene, ragazzi, datemi retta». Perché in realtà noi non studiamo il latino come se fosse una lingua autonoma, a ben vedere. Non è come l’inglese, in cui si prova a fare lezione in inglese e a raccontare le proprie vacanze in lingua. Il latino lo si usa soltanto per tradurre. E infatti, gran parte di coloro che vanno male in latino è perché non sanno l’italiano: ed è sull’italiano che dovrebbero lavorare, ma a loro sembra di saperlo e quindi, nonostante ripetuti inviti, non lo fanno. Tradurre è come portare acqua da un bicchiere a un altro, senza farne cadere troppa e sapendo bene come è fatta l’imboccatura del bicchiere in cui dovrai versare il liquido del primo. Succede infatti che, a metà della prima liceo, molti dei ragazzi sanno perfettamente cos’è un pronome relativo in latino ma poi non sanno usarlo in italiano; oppure sanno cos’è una finale in latino, ma nella loro lingua, l’italiano, quella in cui parlano, non sono nemmeno in grado di riconoscerla. Il latino aiuta a parlare bene e quindi a pensare bene; a gerarchizzare le informazioni entro una frase, distinguendo tra quelle necessarie e quelle del tutto accessorie. Non è l’unico sistema per imparare ma è un ottimo sistema. Il latino aiuta a pensare e a discernere, quindi. «Ragazzi, non fidatevi di chi vi dice che pensare non serve: pensate, invece, ragionate, siate critici e attenti, sempre; il latino serve a questo, soprattutto, a farvi imparare la lingua in cui pensate e parlate. E ora state bravi, che interrogo un po’ e vediamo cosa avete capito. C’è qualcuno che vuole venire?» Segue interrogazione del volontario, il quale in genere si è presentato volontariamente spinto non dalla consapevolezza dei suoi mezzi ma da un misterioso istinto suicida (il virus più diffuso nelle prime); e prende un voto compreso tra il 4 e il 5.
3. Giovedì ore 12, sguardo di chi non farà mai sul serio, umore orrendamente beffardo: la settimana è ancora lunga; ci sono riunioni in vista, ma mi darò malato, chissenefrega; la squadra nemica della mia squadra del cuore è stata eliminata ieri sera dalla Champions League: fingo di essere dispiaciuto, ma in realtà, dentro, godo come un filologo bizantino; mi sono bevuto tutta la bottiglia del vino bianco francese; ho sognato di essere Jack lo squartatore e di squartare la mia collega di russo; il tg di Sky ha trasmesso le immagini dei broker di Wall Street che lasciavano i loro uffici con gli scatoloni in braccio.
Risposta: «Il latino serve a parlare con gli stranieri, bestie che non siete altro: cosa pensate di fare quando andrete in Svezia o in Turkmenistan, eh? Come pensate di farvi comprendere dagli svedesi se non in latino? Che fuori dai nostri confini, cosa credete, tutti sanno il latino e tutti lo parlano perfettamente, anche in famiglia. Dovete essere sempre voi a fare la figura degli imbecilli?» Loro, i primini, guardano un po’ esterrefatti e sbalorditi, ma ascoltano. Alcuni pensano che il prof sia impazzito, altri, la maggior parte, si fidano ancora ciecamente e si chiedono quale possa essere il terribile segreto che fino ad allora gli è stato nascosto. E soprattutto si chiedono dove cavolo sia quel Turkmenistan e se non sia, per un dannatissimo caso, lo stato che loro hanno chiamato sempre Turchia. A dire il vero, a me è successo di parlare latino all’estero; ma è stata una combinazione unica. Ed è però vero che per chi sa il latino è molto più agevole imparare le lingue neolatine, tutte, e in parte anche l’inglese. Ma non è un motivo, di certo. In più il prof insiste e per gli alunni si preannuncia una mattinata grottescamente inquietante. «Oggi interrogo… oggi interrogo… oggi chi sa chi interrogo eh? Siete curiosi, eh, avete paura? Ma no, va’, oggi non interrogo mica… oppure sì? Sì, sì, proprio sì… No, basta, non interrogo.» Segue immane sospiro di sollievo quindicenne.
4. Venerdì ore 9, occhi a palla, umore del pedagogo ottimista: la settimana sta finendo; oggi c’è una riunione alle 16 ma troverò una valida scusa; a pranzo mi fermo a mangiare al bar, mi leggo il giornale, sarà una bella pausa pranzo; sulla Gazzetta ci saranno belle notizie sulla mia squadra del cuore, si preannuncia rimonta in campionato; stanotte ho sognato che la mia nuova collega di russo (sostituta di quella che ho fatto a pezzi) sarà Angelina Jolie nuda; al tg di Sky hanno detto che una nuova generazione è pronta a prendere in mano le redini della vita politica italiana; che bello lavorare nella scuola pubblica.
Risposta: «Il latino è lo strumento che avete per recuperare la memoria, ragazzi, il patrimonio dei nostri padri: studiatelo e potrete leggere cose bellissime, Orazio, Seneca, Virgilio, che in traduzione non sono che la pallida ombra di se stesse». Ed è assolutamente vero: il latino aiuta a sapere da dove veniamo e pertanto a sapere anche dove andiamo. Per loro, poi, quindicenni allo sbando in un mondo che li invita in mille direzioni, sapere da dove vengono è senz’altro il modo migliore per sapere dove potranno un giorno, se vorranno, andare. Inutile celebrare giornate della memoria se poi la si coltiva sporadicamente, senza una logica vera, senza rendersi conto che la strada da cui proveniamo è il segno che ci permette di proseguire o di cambiare, di fare le nostre scelte. Il latino è la radice da cui ancora succhiamo il nostro nutrimento linguistico, altrimenti si sprofonda nell’analfabetismo, perseguitati dalle crudeli statistiche dell’Ocse. Troppo povero lo strumento delle traduzioni a questo scopo: la lettura in lingua originale è lo strumento necessario. Segue entusiasmo didattico da parte del prof, irriconoscibile e dall’apparenza improvvisamente umana: «Oggi non interrogo, ragazzi; oggi vi spiego una poesia di Orazio in latino, che tanto ormai ce la potete fare a capirla: avete presente il Carpe diem? Ecco, vedrete che meraviglia…» Segue ora di lezione un po’ sconclusionata, mentre il prof delira sulla bellezza del futuro anteriore e tutti sono felici e nessuno capisce niente.
4. Venerdì alle due, corso di recupero, umore di merda al quadrato: non potrò mai darmi malato alla riunione di oggi pomeriggio, mi tocca andarci, porca puttana; si è infortunato il centravanti della mia squadra del cuore, domenica perdiamo senz’altro, non ne posso più, disdico l’abbonamento a Sky o forse cambio proprio squadra del cuore, e magari anche il cuore; mi sa che il panino del bar era andato a male, passerò la notte sul cesso, che palle; ora che mi ricordo, il tg Sky della mattina aveva anche detto che il Presidente del Consiglio ha raggiunto il punto di massimo di apprezzamento da parte del paese.
Risposta: «Il latino serve per bocciarvi, che tanto non siete capaci a fare niente, deficienti». Ed è così, effettivamente. Rarissimi, statisticamente, i casi di studenti bocciati in una prima liceo scientifico con la sufficienza in latino. Perché spesso, quando non riesci a studiare la matematica, non riesci nemmeno a studiare il latino. Forse per la logicità di certe strutture che richiede il massimo della concentrazione e del rigore; o forse per una semplice questione di impegno: perché sono le due discipline che pretendono la maggiore dose di fatica per raggiungere un risultato almeno accettabile (che è anche, lo si dica senza troppo timore, una delle vere ragioni per cui il latino sta antipatico a molti: perché fa fare un sacco di fatica… ma oggi non è lunedì e questo discorso l’ho già fatto lunedì). Il pessimo prof sa questa spaventosa verità e usa il latino, la sua terribile arma, in tutta la sua potenza distruttiva, come una clava. E pensa: “Adesso, il primo che alza lo sguardo lo faccio venire alla lavagna e se non sa un pronome gli faccio capire per bene cosa significhi studiare, all’asino…” E subito dopo: «Guglielmo, visto che hai voglia di parlare, vieni tu, che vediamo se hai studiato e se ti passa la voglia di parlare… ». Si preannuncia spaventosa tragedia linguistica e umana.
5. Sabato ore 11, umore convenzionale, stanchezza assoluta, prono ai voleri del governo: la riunione di ieri mi ha distrutto, non so nemmeno di cosa abbiamo parlato; non mi ricordo più qual è la mia squadra del cuore; non mi ricordo nemmeno se ieri sera ho mangiato o no; e ho dormito poi? Sì, forse quello sì, vestito sulla poltrona del salotto o sconvolto sopra la tastiera del pc; al tg di Sky hanno fatto passare un sacco di volte la faccia di un signore con i capelli trapiantati e lo sguardo un po’ furbo: chissà chi era? chissà cosa vuole da me?
Risposta: «Ma chissà quante volte ve lo avranno detto anche i vostri genitori… Il latino serve per imparare a ragionare, no?» Che sarà pure un po’ vero, ma non proprio in senso assoluto, ecco. Voglio dire: quante altre cose possono insegnare a ragionare? Quasi tutte, direi, se fatte bene. Il latino è una delle tante e dunque ciò non spiega affatto la sua presenza tra le materie del Liceo scientifico. Ma il prof al sabato è stanco, e si appella ai luoghi comuni, che, peraltro, nelle giovani menti dei quindicenni riscuotono sempre grandi consensi. La classe è tranquilla, perché il prof oggi è normale. Il latino serve a imparare a ragionare, che bellezza.Tutti sorridono festanti, garzoncelli scherzosi, pensando al dì di festa che sta sopraggiungendo. Il prof dice cose banali e ciò è rassicurante. «Maria, vieni qui che proviamo a fare qualche esercizio alla lavagna». Maria è brava ma non tanto, prenderà 6+ che è il voto che si dà sempre più volentieri e che non costa niente dare, la vita è bella, il sole splende su di noi, il pomeriggio ci attende meraviglioso, il centro commerciale è aperto fino alle 24.
La settimana è finita.
E io lo so cosa state per dirmi: che ho saltato il mercoledì. Ma il mercoledì è il mio giorno libero, lo sanno tutti, ed è anche il giorno in cui mi riposo e scrivo gli articoli più impegnativi per il blog. E se qualcuno me lo chiedesse oggi, mentre scrivo, a cosa serve il latino, gli risponderei qualcosa che assomiglia alla verità, come tutte le altre: «Il latino non serve proprio a niente».
Che è anche il motivo per cui lo amo. Le altre discipline servono, lui no. Le altre discipline hanno un’utilità, servono, serviranno, sono serve. Il latino è libero. Forse solo certa matematica riesce ad esserlo come lui. Libero come il mercoledì che è il mio giorno libero. Libero di non servire, di non essere schiavo, di non prendere ordini dal mondo e dalla sua logica del profitto. Il latino non profitta e non si approfitta. È libero, è leggero, è denso e sintetico. Mi piace un sacco il latino. E a volte trovo un alunno a cui piace come me. E mi sembra un po’ più libero degli altri.
Ma nel frattempo arriva la domenica, c’è il campionato, io mi dimentico del latino e per un giorno faccio lo schiavo della pay-tv. Per un giorno, che è quello del tempo libero, il latino se ne va in vacanza lui, mi lascia da solo davanti allo schermo e alla mia squadra del cuore (quale cuore?) e mi aspetta per la mattina dopo. Ci puoi contare sulla puntualità del latino: perché non ha niente da fare lui, e quando chiami il suo numero suona sempre libero.
Splendido post. Per quanto io avessi otto in matematica e sei meno meno meno meno in latino.
E’ verissimo però che il latino serve a scrivere in italiano. Io in quarta e quinta le traduzioni a casa non le facevo, ché non ci capivo niente. Le copiavo la mattina da Andrea, il quale invece era bravissimo a capire le declinazioni e le costruzioni delle frasi, e poi le traduceva letteralmente.
Io copiavo la traduzione ma la giravo in italiano: con il risultato che poi lui prendeva 6 e mezzo, ed io sette più.
Parla uno che di latino non ha mai capito molto e che ora, a 20 anni di distanza dall’ultima volta che lo studiai, ha solo qualche ricordo vago e fumoso. Eppure non solo non mi pento di averlo studiato, ma quasi rimpiango di non aver studiato anche il greco antico e mi dispiace aver dimenticato quasi tutto.
E’ vero che il latino non serve a nulla, tante persone vivono e prosperano senza averlo mai studiato, eppure questa cosa inutile dà una marcia in più a chi lo sa. Il latino è una lingua che ti aiuta quando meno te lo aspetti. E’ come un coltellino svizzero: se ne può fare benissimo a meno, ma quando serve e ce l’hai ti fa molto piacere.
E’ vero anche che serve a capire chi ha voglia di studiare e chi no. Funziona da selezionatore, questo è indubbio.
Dubito che serva per comunicare in altri paesi, a parte il Vaticano. 🙂 Immagino che l’inglese dia più possibilità.
Comunque la risposta più valida, secondo me, è questa:
saprete cosa serve il latino una volta che l’avrete imparato bene e uscirete da questa scuola. (Sconcerto in classe)
Troppo buoni, davvero. Grazie.
(E io invece so che ci sono blogger che lo odiano, il latino. Fatevi sotto.)
Bel post, non c’è dubbio. Bello e sincero. Sembri il papà buono, che brontola e sbuffa ai figlioletti che fanno un casino infernale (io so cosa significa, che di figlioletti ne ho di varia età e genere…) e poi la sera, quando chiudono gli occhietti (sino ad allora malefici), si scioglie in piagnucolosi “dormi caro amore muci muci muci mao”. Il latino si ama, punto e basta. Con tutto ciò che vuol dir amore *!
(* frase di Orazio o di Fabricius Mocciosus?)
Ah che bello il latino… una volta sapevo perfino tradurlo in tempi ragionevoli, mannaggia a me!
A dire il vero non ricordo la risposta della nostra prof di latino in prima liceo. Anzi, non sono nemmeno sicura che quella domanda gliel’avessimo fatta…
Forse eravamo una classe di discreti esecutori di ordini, imparavamo regole ed eccezioni rassegnandoci alla teoria del “s’ha da fa’”, senza porci domande che non riguardassero il prossimo caffè alla macchinetta. Oppure semplicemente non studiavamo un cazzo (come ci ricordava piuttosto spesso la nostra insegnante) e di sapere a cosa servisse il latino ce ne fregava ben poco.
A me, comunque, era una materia che non dispiaceva affatto. Non ho mai fatto troppa fatica a prendere 7 o 8 nelle versioni, pur studiando lo stretto necessario e copiando i compiti al cambio dell’ora (un pò come mate insomma, anche se lì non mi disturbavo nemmeno a copiarli, i compiti). Dovevo solo sperare di non essere interrogata alla lavagna sulle regole (in cinque anni è successo solo una volta e me la sono cavata egregiamente con un 3 e mezzo) e tutto filava liscio.
Non lo amavo incondizionatamente, il latino. Però devo ammettere che tradurre una frase perfetta, sentire che era così che Orazio o Seneca l’avrebbero pensata, mi dava una certa innegabile soddisfazione, direi quasi una sensazione di potere, come leggere un libro stupendo che sai che nessuno conosce o nuotare 3 km in vasca corta perché 2 ormai ti sono stretti.
Ancora non so a cosa mi è servito il latino, ma io, della risposta, continuo a fregarmene. Che tanto a saperlo non cambia niente.
A proposito, “Venerdì ore 9” è decisamente una prospettiva inverosimile: la tua squadra del cuore non rimonterà mai in classifica… 🙂
Cara Valérie, lascia stare il mio cuore che già ha sofferto abbastanza.
Non me ne vogliano i temuti bloggers che detestano il latino, ma io semplicemente adoro la lingua latina. L’ ho adorato dal primo giorno, dalla prima lezione, dai temutissimi PLURALIA TANTUM(detti preferibilente con voce grossa) della prima declinazione; i quali sembravano lo scoglio insuperabile dietro a cui si celava il fantastico mondo del latino semplice (non conoscevamo ancora i terribili signori INTEREST e REFERT, per non parlare del mefitico VIDEOR…); e poi l’ ho amato ancora di più nelle prime fantastiche traduzioni di “facili” frasette dall’ italiano, in cui, se ti andava bene c’ era sistematicamente un ragazzo a cui noi dovevamo nascondere di non sembrare degno di essersi pentito di non essere andato ad Atene con grande gioia (A nobis puer celandus erat dignum non videbatur quem paenitum esset se non venisse Athenas magna cum laetitia; spero lo Scorfano non mi castighi e che corregga i miei errori…la mia grammatica del biennio è alquanto annebbiata!). E continuo ad amarlo anche ora sommerso da concinnitas ciceroniana e inconcinnitas senecana.
Se dovessi dare una spiegazione del mio amore per il latino sceglierei indubbiamente il venerdì da pedagogo ottimista: non solo l’ idea di tradurre, ma quella più profonda di leggere testi in lingua originale di persone che hanno, nel bene e nel male, fondato la cultura occidentale. Mi affascina un po’ quest’ idea da filologo bizantino allo studio dei testi antichi; forse sarò criticato per eccessivo classicismo ma questa è la prima sensazione che provo nel leggere un testo latino: appunto la conservazione della memoria.
Aggiungerei indubbiamente l’ utilità anche nell’ apprendimento della lingua italiana soprattutto per l’ etimologia delle parole e sicuramente anche un aiuto per il ragionamento grazie alla sua forte struttura razionale.
E poi se ci scappa in qualche occasione una qualche citazione latina, ti senti sempre un po’ più figo…
Bella la filologia bizantina, bella l’etimologia, commoventi le memorie di infanzia, ma, sia detto con immutata stima, la frase di latino è completamente sbagliata.
Ah ah…supponevo…in relatà l’ ho sparata lì un po’ in fretta scrivedo il post, con un certo grado di superbia! Acceto con gioia il rimprovero dello Scorfano; la polvere sull’ inutile latino si sta accumulando. Ma d’ altra parte si sa…a volte l’ importante è il pensiero…o per lo meno ci piace pensare che noi una volta il latino lo sapevamo bene…=)
Io non so se l’ho mai fatta questa domanda, credo che qualcuno nella mia classe prima o poi l’abbia formulata ricevendone un “Ma non rompete le palle, serve a farvi studiare, lazzaroni!” (riconducibile al punto 1, quindi)
Tutte le risposte qui elencate hanno dalla loro un po’ di verità (quanto a quella del parlare con gli stranieri, beh, m’immagino la scena: “Ignoscas mihi, urbane vir, scis ubi cessus sit?” “illac, in extremo, ad dextram”) ma forse quella che, in fondo, mi piace di più, è proprio quella del mercoledì (cioè l’unica risposta che i tuoi alunni non riceveranno mai).
Grande post! Ma avresti dovuto scriverlo una decina d’anni fa, che forse mi avrebbe dato qlc stimolo a studiarlo meglio, questo sofferto latino!
Quando riuscivo a prendere 6 in latino, facevo i salti di gioia. Il latino non è mai stato il mio forte
[…] Perché al classico rimane tutto immutato; ma già allo scientifico le ore complessive di latino (sui cinque anni) scendono da 19 a 17; nel liceo delle scienze umane (sociopsicopedagogico) scendono da 15 a 12; nel linguistico addirittura da 14 a 6 (più del 50%!), e vengono limitate al solo primo biennio (e l’insegnamento si chiama “cultura latina”, che è un po’ ambiguo). Se chiamano questa una valorizzazione, non voglio immaginare cosa intendano per “ridimensionamento”. Ma, tant’è, tutti i giornali e i tg hanno parlato proprio di «valorizzazione». Vabbè, è latino, non serve mica. […]
ho frequentato il mitico Gambara, corso serale per studenti lavoratori, e il mio compagno di classe “vecio” dopo una giornata all’Iveco OM sosteneva che il latino fosse una vis a tergo, con traduzione bresciana che tralascio…ciao
Mah, non sono per niente d’accordo. Ho fatto un po’ di liceo classico, 4 anni, mannaggia, ho mollato prima della maturità perchè avevo iniziato a farmi le canne.
Però in Greco e in Latino andavo benissimo: voti molto alti e pubblici encomi dei prof. davanti a tutta la classe.
Latino e Greco mi piacevano molto, così, senza motivo, mi affascinavano totalmente.
Poi, nella vita l’utilità di certe riminescenze di Latino e Greco è sempre tornata a farsi riconoscere con discrezione, in modo quasi inconsapevole, ma evidente quando ci faccio caso.
Mi capita di trovare termini scientifici e paroloni dotti, che non ho mai sentito prima in vita mia, e di arrivare ad intuire benissimo il loro significato grazie all’etimologia latina o greca.
Mi capita di leggere testi difficili che mai e poi mai capirei, dal basso della mia cultura generale, senza queste infarinature di lingue antiche.
Mi ricordo suffissi e desinenze che cambiano il significato alle parole, e questo è molto utile per capire magari quei termini coniati al volo da chi vuole vantarsi in pubblico di avere una cultura classica.
E poi volete mettere che figata inserire una citazione in latino in un discorso? Ti guadagni subito un 10% di consensi aggiuntivo!
Mi sono trovato a parlare con medici tecnicisti che parlano con noi parenti del malato come se fossimo anche noi laureati a pieni voti in medicina e ho visto altri in serio imbarazzo perchè non capivano un tubo in quella selva di termini medici di uso non comune.
Io invece me la cavavo: chiedevo magari se la mia deduzione, effettuata ricordando il significato delle parole greche o latine che componevano la parola, fosse giusta.
E la risposta era sempre “precisamente, bravissimo!” , e qualche volta “Ma lei è studente di medicina?”.
Insomma, il latino è utile eccome. Oggi se mi chiedono di tradurre una versione brancolo nel buio, ma quando serve riaffiora alla mente e mi cava d’impiccio.
E il greco, se possibile, serve ancora di più.
… e però Don Abbondio non guadagnò quel 10% aggiuntivo di consensi.
Così, eh. Giusto per e non per altro.
Embè, lui era … come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro!
😉
… e se citassimo tutti “I promessi sposi”?
Magari il tenutario avrebbe un guizzo di felicità.
Comunque (e giusto per parlare) credo ci siano altri messaggi in quel “che può sempre non servire”.
In effetti il post è piuttosto articolato.
Comunque mi complimento con te, se è vero ciò che scrivi.
E son d’accordo: aiuta parecchio nei processi deduttivi in genere. Il latino, intendo.
Purtroppo non ho avuto la possibilità di studiare la lingua greca, ma non è detto che un domani… (ah, i miei sogni di gloria)
Saluti a lei ed al suo latinorum 😉