Allo scorfano la poesia è sempre piaciuta. Magari un po’ di nascosto, acquattato sul fondo, ne ha sempre letta parecchia. Non ne parla, perché è argomento che non riscuote nelle conversazioni quel successo che lui si aspetterebbe; però continua a leggerla. E allora, visto che non sta mai bene da nessuna parte, la poesia, ha pensato di infilarla qui, in una pagina un po’ marginale, che bisogna proprio andarsela a cercare, ecco. E ogni tanto, magari una volta al mese, copia qualche verso di qualche poeta che gli piace particolarmente e lo infila nella sua pagina che sta più sul fondo, questa. Ma lo scorfano è adulto e non si fa mica illusioni: i versi sono lì, stanno tranquilli, agiscono in profondità, non hanno nemmeno bisogno di qualcuno che se li vada a leggere. Che è la loro debole forza, tutto sommato.
(settembre 2009)
Ci sono sere che vorrei guardare
da tutte le finestre delle strade
per cui passo, essere tutte le rade
ombre che vedo o immagino vegliare
nei loro fiochi santuari. Abbiamo,
sussurro passando, lo stesso sogno,
cancellare fino a domani il sogno
opaco, cruento del giorno, li amo
anch’io i vostri muri pallidamente
fioriti, i vostri sonnolenti acquari
televisivi dove i lampadari
nuotano come polpi, non c’è niente
che mi escluda tranne la serratura
chiusa che esclude voi dalla paura.
(Giovanni Raboni
da Quare tristis)
————————————————————————————-
(maggio-giugno 2009)
Secoli fa, quando vivevamo ai margini
della foresta, in notti come questa
ti saresti messo la pelle dell’orso
e grosso e goffo ti saresti aggirato in cerca di preda
fra gli alberi, e saresti stato la forma delle umane
paure contro il banco di neve.
Io avrei scelto la volpe;
mi piacevano gli scherzi,
indietreggiare sulle mie impronte,
e, ammettiamolo, rubare.
A quel tempo avevo tante forme:
lo sgusciare dentro e fuori
della mia stessa viscida pelle d’anguilla,
e anche della tua; eravamo l’uno dell’altra
il guanto iridescente, l’abile corpo
tutto destrezza e illusione.
Un tempo eravamo agili come pitoni veloci
e argentei come aringhe, e lo siamo ancora, a volte,
se non fosse che ci fanno male i ginocchi.
Adesso ci accontentiamo di rannicchiarci
sotto la muta di piume di anatre e oche
mentre il vento scroscia come un fiume
vi nuotiamo dentro pur restando fermi,
come trote nella corrente.
Ogni cellula
del nostro corpo si è rinnovata
tante volte da allora, non è
rimasto molto, mio caro,
degli originali. Siamo impronte
che diventano arenaria, oppure, pensaci,
carbone che diventa diamante. Meno
flessibile, ma più concentrato;
e niente più squame e pseudonimi,
almeno all’esterno. Sebbene abbiamo accumulato,
nostro malgrado, altri travestimenti:
tu una logora valigia di pelle
d’elefante con la pelliccia bianca,
io un cespuglio di pruni. Be’, ho sempre
avuto i capelli ribelli. Poi ci sono i problemi
agli occhi: troppo vicino, troppo lontano, sei sfocato.
Dicevo sempre che ti avrei riconosciuto tra mille,
ma è sempre più difficile.
(Margaret Atwood,
da Mattino nella casa bruciata)
(grazie a pessima)
——————————————————————————–
(aprile 2009)
E non so mai che sia questo dolore
che s’alza all’improvviso come un vento
più forte e più cattivo
quale spavento in questa corda interna
e di che riso s’eterna astrattamente
quando stinge lo sguardo
e tutto volge insieme
e fa preda di sensi alla stagione
e di cosa sia fatta la prigione
frequente di respiro e senza dio
se sia d’un male d’altri che mi viene
o d’un male che sia soltanto mio.
Riccardo Held
da Il guizzo irriverente dell’azzurro
————————————————————————
(marzo 2009)
Siamo in una situazione precaria,
Perché celarlo? Ognuno lo capisce
Quando percepisce noi che ci nascondiamo perfino
Nei minimi atti innocui – salire
Sull’autobus, in treno, scambiarci
Orari e attento bene ti raccomando
Che non svelino coincidenze, né
Inferisca taluno volanti fra noi rendez-vous…
Tutto per fugaci momenti nella nuda intimità
A dirci mentre combattiamo contro il sonno:
Per questo adesso guardarci negli occhi
Di tanto armeggiare è valsa la pena.
Molti animali vivono dello scampare
alla zampata del più forte – ma io e te
Di chi siamo più deboli se non di noi stessi?
Corrono non più giovanili gli anni
E gentili con essi propositi avventurosi,
Tue parole: scappare in Canadà, non perdere di vista
La vita vera povero capello demodé
Nella minestra che ci stanno mescolando.
Giovanni Giudici,
Propositi
———————————————————————————————-
(febbraio 2009)
Al vecchio che gira la macina
una vena si spezza nella pupilla
e il serpe è vicino alla culla.
Confuso nella paglia e nella polvere
è il sandalo di profeta ridicolo.
Non è vero che siamo in esilio.
Non è vero che torneremo in patria,
non è vero che piangeremo di gioia
dopo l’ultima svolta del cammino.
Non è vero che saremo perdonati.
Siedo a sera sul margine della foresta.
Le bestie selvagge e timide cercano acqua.
Guardo la grande diga che abbiamo costruita,
i lumi della centrale, l’aereo che scende,
la gente come me che ritorna alle case.
———————————————————————————————–
(gennaio 2009)
‹…›
Sotto i miei occhi portata dalla corsa
la costa va formandosi immutata
da sempre e non la muta il mio rumore
né, più fondo, quel repentino vento che la turba
e alla prossima svolta, forse, finirà.
E io potrò per ciò che muta disperarmi
portare attorno il mio capo bruciante di dolore…
ma l’opaca trafila delle cose
che là dietro indovino: la carrucola nel pozzo,
la spola della teleferica nei boschi,
i minimi atti, i poveri
strumenti umani avvinti alla catena
della necessità, la lenza
buttata a vuoto nei secoli…
‹…›
La poesia di Franco Fortini e’ commovente. So’ di che parla e da dove ha preso spunto.
Mi ha colpito anche la frase:”Non e’ vero che saremo perdonati”.
Ma io penso che chi ha sofferto molto senza colpa,
avra’ nell’altra vita un premio maggiore.
Be’, è il primo commento alle poesie. Ti ringrazio.
Caro Scorfano non sa nemmeno quanto questi versi dell’ultima (attesa) poesia m’abbiano tranquillizzata la sera prima della 3° prova, quando la tensione non permetteva al sonno di giungere.
“Siamo impronte
che diventano arenaria, oppure, pensaci,
carbone che diventa diamante”
Grazie
Be’, se ti bastano dei versi per tranquillizzarti, significa che eri abbastanza preparata… Altrimenti, non li avresti nemmeno notati. 😉
Mi riferisco alla prima poesia: finalmente una per me e mio marito: eravamo giovani ’68ttini con tanta ruvidezza nei sentimenti e morbidezza nelle forme, giocavo come la volpe, cambiavo pelle, andavo di qua e di là come l’anguilla, e lui mostrava tutta la sua forza come l’orso in cerca di preda, poi il cambiamento lento, costante ma unilaterale, contemporaneo, la crescita parallela verso un’unico ideale ma con due identità ben definite. Ora quella ruvidezza è nell’aspetto, i miei capelli bianchi (non li tingo per vanità: anche se ho una figlia di 16 anni, ho anche altri 6 nipotini che mi fa piacere mi chiamino nonna e lo dimostri pure!) dicevo i miei capelli bianchi sono un pò ispidi e ricci e il mio lui è diventato come dice la poesia: una bellissima valigia di pelle d’orso bianco, ricco di esperienze, anche comuni spesso, e avvolgente e riposante come una caldissima pelliccia, non tralascio il finale: siamo ormai due talpe. Grazie, non è facile trovare poesie per noi “diamanti”
Sotto l’azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto “più in là”
E. Montale, Ossi di seppia
Altre poesie, ti prego!!
Obbedisco.